PALLA AL CENTRO
Superlega, il cerino in mano ad Agnelli e il ruolo della politica
E’ rimasto con il cerino in mano e si sta bruciando. Una carriera costruita a suon di successi alla guida della Juventus ridimensionata in pochi giorni. Andrea Agnelli (nella foto) è finito nell’occhio del ciclone dopo l’accantonamento della neonata Superlega. Ormai impresentabile al tavolo dell’esecutivo Uefa dove l’aspetta l’ex amico Ceferin con la bava alla bocca; inaffidabile per i club italiani in Lega; un peso per la stessa società bianconera rimasta isolata negli ultimi giorni. Tutti contro. Anche i propri tifosi. Una Caporetto.
Una prova di forza finita male e dalle conseguenze ancora da decifrare. Tanto più che il piatto piange e i bilanci di più. Serve un’idea per non implodere, non solo alla Juve. Servono soldi. Anche se il discorso dei debiti va spiegato meglio: è vero che i grandi club europei hanno bilanci in negativo, ma bisogna tenere conto che hanno anche un patrimonio (strutture e brand) da mettere sul piatto della bilancia.
Superlega affogata sul nascere, ma i problemi restano. Uefa e Fifa resistono, però hanno il fiato addosso. Se la godono Ceferin e Infantino. I grandi duelli hanno bisogno di grandi perdenti. E oggi quello di Andrea Agnelli è il volto nel mirino delle freccette lanciate da chi ha predicato il calcio popolare contro quello dei ricchi. Progetto Superlega fallito, per ora. Ma tornerà in auge se le istituzioni calcistiche non modificheranno la gestione. Riprenderà quota sotto mentite spoglie. Anche perché la Superlega è già nei fatti. Chiaramente da una parte, quella dei 12 club, sono stati commessi degli errori. In primis di comunicazione. I cosiddetti ribelli non hanno pensato alla reazione dei tifosi perché non hanno avuto tempo per prepararla, la loro è stata una reazione istintiva alla presentazione della Champions a 36 squadre prevista lunedì scorso. Si sono preoccupati delle questioni legali (fino a sentirsi blindati), ma non dell’opinione pubblica. Non del messaggio passato: “Il calcio dei ricchi vuole diventare ancora più ricco”. Un grave errore cavalcato da Uefa e Fifa che hanno chiesto aiuto alla politica.
Ed eccoci al nodo. Che cosa c’è di così importante in ballo da smuovere la classe politica dell’Europa dei potenti. Come mai Boris Johnson in Inghilterra, Macron in Francia e Draghi in Italia si sono precipitati nel fare dichiarazioni contro la Superlega? Davvero la loro prima preoccupazione è quella di salvare la meritocrazia e i valori dello sport? Davvero vogliono preservare il calcio dal business? Tutto questo in tempo di Covid, quando le emergenze sono altre. Ecco, è questo il nodo: perché e come mai la politica è scesa in campo in maniera massiccia? Che cosa c’è dietro le quinte da difendere? Perché a bloccare il progetto Superlega nel giro di poche ore è stata la reazione della politica che ha fatto leva sull’economia. Più di quella dei tifosi. Ognuno dei presidenti dei 12 club ha delle attività imprenditoriali che potevano avere ripercussioni negative in un braccio di ferro prolungato. Perché ci sarebbero state delle ritorsioni a livello politico che abbinate all’immagine sporcata avrebbero procurato danni superiori ai benefici della creazione della Superlega. Tutto qui il nodo. Si è fatto male Agnelli, per ora. Ma qualcuno dovrà rispondere alle istanze dei grandi club, perché se non ci saranno soluzioni efficaci tra qualche tempo ci sarà chi ritirerà fuori il progetto della Superlega.
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