Banda dell’ascia, nuove indagini
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La polizia cerca il movente dell’aggressione all’operaio e dei quattro colpi esplosi contro Pellerani
VASTO. Sospeso l’isolamento nel quale sono rimasti per 48 ore, ieri mattina Yari Pellerani, 28 anni, Marco Maranca, 33 anni e Antonio Santoro, 27 anni, i tre giovani arrestati dalla polizia per tentato omicidio, hanno potuto incontrare i genitori. I tre martedì mattina hanno aggredito un operaio all’esterno di un bar ferendolo gravemente con un ascia. Gli indagati hanno avuto un lungo colloquio con il difensore, l’avvocato Elisa Pastorelli. «Pellerani rigetta l’accusa di premeditazione», fa sapere l'avvocato Pastorelli. «L’incontro con la vittima è stato del tutto casuale. Gli altri due poi sono finiti nei guai senza volerlo».
L’aggressione. Stando a quello che ha raccontato al suo avvocato, Pellerani, quando martedì poco dopo le 14 ha raggiunto il bar Del Giglio non immaginava neppure di trovarsi davanti l’operaio di 30 anni. Anzi ad accorgersi di lui sarebbe stato Santoro entrato nel bar per comprare qualcosa. Pellerani avrebbe visto l’operaio mentre usciva dal bar e lo avrebbe affrontato colpendolo con un attrezzo da meccanico simile ad un’accetta che era nella sua auto. L’aggressione sarebbe stata fatta per punire l’operaio di qualcosa. Che cosa, resta un mistero ma non è escluso il collegamento con l’agguato subito da Pellerani. «Santoro e Maranca sono stati coinvolti loro malgrado», assicura l’avvocato Pastorelli. Su questo punto insiste anche l’avvocato Giovanni Cerella che affianca la Pastorelli nella difesa di Santoro.
La ricerca dell’arma. L’accetta con cui Pellerani ha colpito per almeno dieci volte il rivale non è stata ritrovata. È probabile che i tre si siano disfatti dell’arma sperando di non essere identificati. Nessuno dei testimoni del resto li ha riconosciuti. Ad inchiodare i tre giovani è stata la videosorveglianza. La telecamera mostra l’oggetto con cui viene colpito l’operaio. La polizia sta setacciando il percorso fatto dall’auto di Pellerani per tornare a casa, ma non è escluso che l’accetta sia stata gettata in qualche cassonetto o in un dirupo.
La moto. Fondamentale a questo punto è riuscire ad appurare se effettivamente esiste un collegamento fra il tentato omicidio di Yari Pellerani e quello dell’operaio. Il perno delle indagini potrebbe essere la moto bruciata ritrovata in contrada Lota. Se i due episodi sono collegati, il gesto di Pellerani diventerebbe una ritorsione che indica agli investigatori la pista da seguire per trovare i suoi aggressori.
Il movente. «Pellerani è vivo per miracolo. Anzi, a distanza di due mesi è ancora convalescente», rimarca il difensore Elisa Pastorelli. I due killer che il 10 aprile gli spararono addosso 4 colpi di pistola si allontanarono solo quando videro Pellerani disteso per terra in una pozza di sangue. Probabilmente pensarono fosse morto. Così non era. Ma perché e chi voleva la morte di Pellerani? È questa la domanda a cui ancora non è stata data una risposta. L’aggressione a colpi di ascia potrebbe provocare un effetto domino aiutando gli investigatori a scoprire cosa si nasconde dietro i due tentati omicidi.
Paola Calvano
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