D’Agostino, le sette donne non gli hanno offerto sesso
Ex assessore condannato: ecco la sentenza, si basa su un grande principio Il giudice: nessuno può commercializzare la libertà sessuale di una persona
CHIETI. «La libertà sessuale non è un bene quindi non è commercializzabile». Nessuno, che sia una donna o un uomo, può offrire o togliere ad un’altra persona un diritto inalienabile. Su questo grande principio, ribadito dalla Corte di Cassazione, la giudice, Antonella Redaelli, ha condannato a 3 anni e 6 mesi per concussione – cioè il ricatto commesso da un pubblico amministratore – l’ex assessore comunale della giunta Di Primio, e dell’Udc, Ivo D’Agostino. In appena una pagina e mezza, il gup motiva la sentenza che ha sollevato indignazione e un vespaio di polemiche in tutt’Italia per le dichiarazioni choc dell’ex difensore, Domenico Di Terlizzi. Questi, dopo il patteggiamento allargato della pena concesso a D’Agostino, aveva commentato a caldo la condanna affermando che si era trattato solo di una «debolezza umana», facendo quindi ricadere una parte delle responsabilità sulle «profferte» di sesso che le vittime avrebbero fatto all’ex assessore che, a sua volta, si sarebbe lasciato tentare, o meglio indurre alla corruzione in cambio di un alloggio popolare. Ma Di Terlizzi, dopo quella frase finita anche al centro dell’Arena di Giletti su Rai Uno, è stato “licenziato” in tronco da D’Agostino che, per ricorrere in Cassazione, dovrà affidarsi a un altro difensore. E oggi il giudice scrive che quelle sette donne, sei delle quali volevano costituirsi parte civile, non potevano offrire sesso in cambio di una casa perché la libertà sessuale non è merce di scambio. In parole semplici: per lo stesso principio su cui si basa la depenalizzazione del reato di prostituzione, per il quale è punito chi la sfrutta o l’induce, ma non chi la pratica, l’ex assessore è stato condannato per concussione e non per corruzione indotta. E’ il passaggio chiave della sentenza che ha permesso al giudice di partire da una pena di 6 anni di reclusione diminuita di un terzo, per il rito alternativo del patteggiamento, e ulteriormente scontata per la concessione delle attenuanti che, attenzione, non sono dipese dal risarcimento del danno alle donne che accusavano D’Agostine di ricatti e violenze sessuali consistite, secondo le loro dichiarazioni nella fase determinante dell’incidente probatorio, in toccamenti, baci e, per un caso, in una masturbazione orale, all’interno della stanza dell’assessorato alle politiche della casa. Quelle attenuanti invece sono rimaste generiche sulla base di una seconda considerazione sostanziale che il giudice fa nella sentenza. E cioè che le vittime non sono state interamente risarcite, seppure D’Agostino avesse staccato bonifici per 47 mila euro. Il danno aveva ben altro e più alto prezzo. Ma, conclude il giudicante, l’ex assessore s’è comunque impegnato a risarcire le vittima dando fondo a tutte le risorse economiche che aveva a disposizione. E da parte loro le sei donne, pagate chi con 9 mila euro chi, invece, con solo 4 mila euro, hanno ritirato le richieste di danni. Questi due aspetti, in particolare l’impegno profuso dall’imputato, hanno fatto sì che D’Agostino beneficiasse delle attenuanti generiche che hanno portato la pena finale a 3 anni e 6 mesi, senza il beneficio della sospensione condizionale. L’ex assessore però ricorrerà in Cassazione per chiedere l’annullamento della sentenze. Non tanto per la condanna alla reclusione che, essendo inferiore ai 4 anni, gli permetterà di evitare il carcere o la detenzione domiciliare e di beneficiare, esattamente come è accaduto a Silvio Berlusconi, dell’affidamento ai servizi sociali, ma per le due pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e l’estinzione, anche in questo caso sine die, del rapporto di lavoro con la Asl. Su quest’ultimo punto, che preclude per sempre a D’Agostino, già interdetto a vita dalla politica e dal Comune, anche la possibilità di tornare a lavorare in ospedale, si baserà il ricorso alla Suprema Corte. Appena l’ex assessore avrà trovato un avvocato che non lo difenda parlando di «debolezze umane».