«Che faticaccia essere un guerriero assetato di sangue»
L’attore teramano è Herenneis nella serie Sky “Romulus” di Rovere: «Siamo dei proto-punk»
TERAMO. Dal Premio Ubu alla feroce maschera di Herenneis. Il talentoso PierGiuseppe Di Tanno, attore e performer teramano, è nel cast di “Romulus”, la serie tv sulle origini di Roma da ieri in onda ogni venerdì per 10 episodi su Sky e in streaming su Now Tv. Un altro interprete abruzzese dunque nel cast della produzione Sky Original, Cattleya e Groenlandia, oltre all’attore pescarese Andrea Arcangeli, che impersona Yemos, principe di Alba, protagonista di questa storia epica e brutale dell’VIII secolo a.C. con la vestale Ilia (Marianna Fontana) e il giovane schiavo Wimor (Francesco Di Napoli).
I due attori abruzzesi sono entrambi sulla copertina del Venerdì di Repubblica, insieme a Di Napoli, Marlon Joubert e Valerio Malorni, proveniente dal teatro come Di Tanno. «Il pregio del casting è stato scegliere attori giovani, volti nuovi poco noti e puntare anche su attori che sono protagonisti a teatro ma finora ignorati dalle produzioni cinematografiche e televisive, qui invece riscoperti proprio per le doti di performer» racconta al Centro PierGiuseppe Di Tanno, vincitore nel 2018 del prestigioso Premio Ubu come migliore attore/performer teatrale under 35.
Esordi nella bottega teatrale Spazio Tre di Sivio Araclio, Di Tanno si è diplomato attore nell’Accademia d’arte drammatica D’Amico nel 2006. In teatro lavora con grandi firme, fra gli altri Roberto Latini, Davide Iodice, Lorenzo Salveti, Giancarlo Sepe, Industria Indipendente, Andrea Baracco, IfHuman. Il suo percorso è segnato da una personalissima e fertile contaminazione fra teatro e danza, anche danza butoh, appresa con Masaki Iwana. Talento, presenza scenica, testa pensante e corpo sapiente, Di Tanno è stato selezionato dal casting di “Romulus” per entrare a far parte dei Ruminales, una delle 30 tribù che vivono sotto il dominio del re di Alba.
Com’è iniziata l'avventura? E quanto è stata dura?
Ho fatto il provino a marzo 2019 e a luglio ho iniziato l’allenamento con gli stunt. Le prime pose ad agosto. Siamo andati avanti con le riprese fino al 4 dicembre. Gli ultimi mesi sono stati i più duri. Ore nella natura quasi nudi, abbiamo recitato sotto la pioggia, la grandine, in mezzo al fango, nel buio, combattuto nell’acqua gelata di un fiume, vissuto in una grotta meravigliosa ma gelida. Oltre l’arte attoriale uno sforzo fisico notevole.
Chi è il suo personaggio Herenneis?
Un guerriero assetato di sangue del popolo dei Ruminales, devoti alla dea Rumia, protettrice dei lupi. Vivono nei boschi, sono un popolo guerriero ma anche spirituale e magico. Sono guidati dalla Lupa, incarnata in una donna. La loro missione è fondare una città in cui vivere. È un popolo molto diverso dagli altri. Hanno un sentire profondamente arcaico. Quando vanno in guerra assumono quasi sembianze animali, tanto che i nemici li credono spiriti maligni della foresta. Ogni giorno una lunga fase di trucco, parrucco e costumi, specie per le scene di battaglia, con un vero e proprio body painting. Siamo dei proto-punk.
Complicati i combattimenti?
È stato impegnativo apprendere le tecniche di combattimento con armi rudimentali. I Ruminales non hanno il ferro. Io combatto con mascelle di lupo, altri guerrieri hanno asce costruite con ossa di animali. Anche gli altri colleghi che interpretano i Ruminales sono dei performer, scelti per la personalità attoriale e per la fisicità. Il mio bizzarro taglio di capelli (tra il buddhista e il mohicano ndr) è stato esaltato.
Come nel film “Il primo re” anche per “Romulus” il regista Matteo Rovere fa recitare i personaggi in proto-latino. Come vi siete adattati a questa lingua inventata?
C’era un bravo coach sul set, Danilo Sarappa, che ci seguiva per la corretta pronuncia. È una lingua riscritta, con contaminazioni di osco, dalle latiniste Gianfranca Privitera e Daniela Zamparini recuperando da quel poco che ci è giunto attraverso degli oggetti, come le fibule. È stato un magnifico privilegio poter inventare il suono della lingua, un suono non pulito, tra l’umano e il bestiale. Il copione aveva accanto il testo italiano, ma recitavi pur sempre in una lingua che non conosci affatto. Tuttavia il liceo classico mi è tornato in aiuto, perché c’erano molte parole che contenevano già la futura derivazione latina e quindi riuscivo a rintracciare un suono e un significato. Sky propone la serie anche doppiata però mi auguro che le persone la seguano in originale.
Registi oltre a Rovere anche Michele Alhaique e Enrico Maria Artale. Da chi è stato diretto?
Herenneis e i Ruminales entrano in scena dalla quinta puntata. Ho lavorato con Alhaique e Artale. Loro e Rovere, che ha diretto i prini due episodi, rappresentano tre sguardi e tre poetiche diverse, ma tutti hanno fatto funzionare una macchina complessa, un set con centinaia di comparse. È una storia sulle nostre origini e una grande parabola sull’identità, con potenza di immagine e narrazione.
Conosceva Andrea Arcangeli?
No, ci siamo conosciuti sul set. Dopo un po’ è venuto fuori che eravamo entrambi abruzzesi. È bravissimo. C’è una generazione di attori abruzzesi, lui, Lucrezia Guidone, Lino Guanciale, che sta venendo fuori, facendo scelte molto interessanti.
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