«Il coronavirus sarà uno tsunami per la discografia»
L’influente conduttore radiofonico pescarese: «È il momento dei contenuti e del coraggio»
PESCARA. «Se smettiamo di crederci, siamo in cattive mani». Nessuno sa quale sarà esattamente la fase 2 della musica, quali gli orientamenti dell’industria discografica e, soprattutto, le forme delle esibizioni live. Difficile, se non impossibile al momento, prevedere scenari, spingendo l’immaginazione ad andare oltre piccole esibizioni all’aperto o in spazi protetti – con barriere in plexiglass quasi ad accentuare la dimensione “distopica” di questo tempo – oppure improbabili allestimenti drive in come quelli immaginati nel nord Europa.
Ma se sul futuro c’è confusione, ben più nitida è la visione del presente per professionisti che hanno fatto della musica una ragione di vivere. Tra questi, c’è sicuramente Gianni De Berardinis, pescarese trapiantato a Milano, conduttore radiofonico e televisivo, un personaggio influente nella comunicazione musicale. Classe 1955, ha iniziato negli anni Settanta a declinare il suo amore per la West-Coast e la musica californiana (di qui il soprannome Gianni California) in piccole emittenti come Radio 7G7 e la neonata Radio Luna nel primo studio di piazza Salotto. La sua carriera lo ha poi portato ai microfoni di Radio Montecarlo, Radio 24, Radio 2, R101, Rtl 102,5 con importanti parentesi televisive. Oggi lavora a Milano per le frequenze di Radio Inblu - Tv Sat 2000. Ha realizzato interviste esclusive con nomi del calibro di David Bowie, David Gilmour, Robert Plant, B.B. King, Manhattan Transfer, Frank Sinatra, Neil Young, Rem e ha composto brani musicali con gente come Shel Shapiro, Kaballà, Claudio Guidetti, Massimo Bubola.
Tre anni fa è arrivato anche l’esordio discografico da solista, “Priceless” lanciato come un atto d'amore «frutto di una passione e non di una necessità». Negli ultimi anni, l’evoluzione del digitale e delle nuove tecnologie hanno rivoluzionato il modo di ascoltare e di archiviare, a discapito delle vendite di prodotti discografici e spesso investire su un nuovo album non ha certo la stessa resa che in epoche diverse. Di fatto, la promozione di un album diventa quasi un modo per “fidelizzare” i propri fan, specie in un momento come questo in cui tanti artisti emergenti e tanti protagonisti del mainstream sono chiamati a scegliere se rispettare o rimandare gli impegni di distribuzione.
«Questo tempo poteva e doveva costituire un’occasione per rimodulare l’offerta musicale, sia tra le etichette discografiche, sia dal punto di vista della programmazione dei media», valuta De Berardinis non senza rammarico, «a partire dalla rotazione radiofonica che sembra seguire sempre le stesse dinamiche. Si poteva cogliere questo momento per fare le cose diversamente, con più contenuti e più coraggio».
In che senso?
«Il coronavirus si abbatterà come uno tsunami su tutto il settore, così come ahimé avverrà altrove. Le condizioni critiche potevano dar vita a una rivoluzione. E invece gli equilibri restano invariati, anche in un momento in cui l’offerta passa attraverso i social media».
Al netto dei numeri del pubblico collegato, la possibilità di suonare in diretta streaming crea l’illusione ottica di accorciare le distanze tra emergenti e nomi affermati. Come stanno le cose effettivamente?
«La realtà vede in campo forze impari. Personaggi come Jovanotti, Elisa o Cesare Cremonini possono permettersi di collegarsi da casa con dei livestream dove dire o fare qualsiasi cosa che passa loro per la testa, tanto il loro seguito è sempre garantito. Le loro canzoni sono e saranno sempre in rotazione (quale radio rinuncerebbe a Vasco Rossi o Laura Pausini?) mentre gli spazi per i piccoli artisti sono ristretti. In Italia, non abbiamo la fortuna di avere gente come Quincy Jones, capace di tirare fuori dei talenti dalle periferie e dai ghetti. Qui ognuno tira acqua al proprio mulino, chi è fuori dai giri importanti rischia di rimanerci. Abbiamo visto tutti quello che è successo lo scorso fine settimana».
A cosa si riferisce?
«Beh, il concerto virtuale del Primo maggio in tv e streaming ha solo registrato una corsa all’immagine. Poteva essere l’occasione per fermarsi, scioperare. Far sentire il peso della propria assenza».
Paolo Fresu dalla sera stessa ha oscurato per qualche giorno i suoi canali social...
«Stiamo parlando di un professionista serio che ha dimostrato la sensibilità in tante occasioni. Ma la sua azione rischia di essere isolata».
Che musica ascolta in questo periodo?
«Beh, parlando di Fresu, sono appassionato di jazz (penso a Charlie Parker) ma anche del hard rock e delle evoluzioni degli anni Novanta. Ho vissuto a Seattle in passato al tempo dei Nirvana e degli Alice in Chains. Questo periodo sto riascoltando cd bootleg di Dylan, Beatles, Rolling Stones».
Ma se sul futuro c’è confusione, ben più nitida è la visione del presente per professionisti che hanno fatto della musica una ragione di vivere. Tra questi, c’è sicuramente Gianni De Berardinis, pescarese trapiantato a Milano, conduttore radiofonico e televisivo, un personaggio influente nella comunicazione musicale. Classe 1955, ha iniziato negli anni Settanta a declinare il suo amore per la West-Coast e la musica californiana (di qui il soprannome Gianni California) in piccole emittenti come Radio 7G7 e la neonata Radio Luna nel primo studio di piazza Salotto. La sua carriera lo ha poi portato ai microfoni di Radio Montecarlo, Radio 24, Radio 2, R101, Rtl 102,5 con importanti parentesi televisive. Oggi lavora a Milano per le frequenze di Radio Inblu - Tv Sat 2000. Ha realizzato interviste esclusive con nomi del calibro di David Bowie, David Gilmour, Robert Plant, B.B. King, Manhattan Transfer, Frank Sinatra, Neil Young, Rem e ha composto brani musicali con gente come Shel Shapiro, Kaballà, Claudio Guidetti, Massimo Bubola.
Tre anni fa è arrivato anche l’esordio discografico da solista, “Priceless” lanciato come un atto d'amore «frutto di una passione e non di una necessità». Negli ultimi anni, l’evoluzione del digitale e delle nuove tecnologie hanno rivoluzionato il modo di ascoltare e di archiviare, a discapito delle vendite di prodotti discografici e spesso investire su un nuovo album non ha certo la stessa resa che in epoche diverse. Di fatto, la promozione di un album diventa quasi un modo per “fidelizzare” i propri fan, specie in un momento come questo in cui tanti artisti emergenti e tanti protagonisti del mainstream sono chiamati a scegliere se rispettare o rimandare gli impegni di distribuzione.
«Questo tempo poteva e doveva costituire un’occasione per rimodulare l’offerta musicale, sia tra le etichette discografiche, sia dal punto di vista della programmazione dei media», valuta De Berardinis non senza rammarico, «a partire dalla rotazione radiofonica che sembra seguire sempre le stesse dinamiche. Si poteva cogliere questo momento per fare le cose diversamente, con più contenuti e più coraggio».
In che senso?
«Il coronavirus si abbatterà come uno tsunami su tutto il settore, così come ahimé avverrà altrove. Le condizioni critiche potevano dar vita a una rivoluzione. E invece gli equilibri restano invariati, anche in un momento in cui l’offerta passa attraverso i social media».
Al netto dei numeri del pubblico collegato, la possibilità di suonare in diretta streaming crea l’illusione ottica di accorciare le distanze tra emergenti e nomi affermati. Come stanno le cose effettivamente?
«La realtà vede in campo forze impari. Personaggi come Jovanotti, Elisa o Cesare Cremonini possono permettersi di collegarsi da casa con dei livestream dove dire o fare qualsiasi cosa che passa loro per la testa, tanto il loro seguito è sempre garantito. Le loro canzoni sono e saranno sempre in rotazione (quale radio rinuncerebbe a Vasco Rossi o Laura Pausini?) mentre gli spazi per i piccoli artisti sono ristretti. In Italia, non abbiamo la fortuna di avere gente come Quincy Jones, capace di tirare fuori dei talenti dalle periferie e dai ghetti. Qui ognuno tira acqua al proprio mulino, chi è fuori dai giri importanti rischia di rimanerci. Abbiamo visto tutti quello che è successo lo scorso fine settimana».
A cosa si riferisce?
«Beh, il concerto virtuale del Primo maggio in tv e streaming ha solo registrato una corsa all’immagine. Poteva essere l’occasione per fermarsi, scioperare. Far sentire il peso della propria assenza».
Paolo Fresu dalla sera stessa ha oscurato per qualche giorno i suoi canali social...
«Stiamo parlando di un professionista serio che ha dimostrato la sensibilità in tante occasioni. Ma la sua azione rischia di essere isolata».
Che musica ascolta in questo periodo?
«Beh, parlando di Fresu, sono appassionato di jazz (penso a Charlie Parker) ma anche del hard rock e delle evoluzioni degli anni Novanta. Ho vissuto a Seattle in passato al tempo dei Nirvana e degli Alice in Chains. Questo periodo sto riascoltando cd bootleg di Dylan, Beatles, Rolling Stones».