L'Harlem Gospel Choir in concerto

L'INTERVISTA

L’Harlem Gospel Choir dal Vangelo a Keith Richards 

Il coro americano si esibirà al Teatro Massimo di Pescara il 21 dicembre. «Una lezione di umiltà dalle stelle della musica con cui abbiamo collaborato»

Da Diana Ross a Bono, ai Chieftains, a Keith Richards: è solo una sintesi dell’elenco lunghissimo di artisti che hanno collaborato con l’Harlem Gospel Choir, il coro americano che, il 21 dicembre (inizio alle ore 21), sarà di scena al Teatro Massimo di Pescara. I biglietti per l’esibizione di questo gruppo vocale di musica gospel sono ancora in vendita sul su TicketOne e Ciaotickets (poltronissima 30 euro, poltrona e palchi 26 euro, galleria 23 euro, compresi i diritti di prevendita).
Gli Harlem Gospel Choir sono il più famoso coro gospel d'America. Dal 1986, Allen Bailey e il suo coro girano per il mondo condividendo la gioia nella fede e raccogliendo fondi da devolvere in opere di bene. In questi 32 anni il coro ha cantato, fra gli altri, per la famiglia reale britannica, il presidente Barack Obama, Nelson Mandela, Papa Giovanni Paolo II. Anni di incontri e tour di successo che racconta in questa intervista al Centro, Anna Bailey, manager dell’Harlem Gospel Choir.

Anna Bailey, manager dell'Harlem Gospel Choir
La musica gospel parla allo stesso modo ai pubblici di ogni Paese dove suonate?
Sì. Il gospel comunica un messaggio di speranza e felicità anche se la gente non capisce le parole delle nostre canzoni. Basta la musica.
Come reagisce il pubblico italiano ai vostri concerti?
Gli italiani reagiscono in maniera sempre molto entusiastica, alzandosi in piedi, ballando. I nostri concerti in Italia sono sempre pieni di un’energia che passa dal pubblico al coro e viceversa.
Che ricordo ha del vostro concerto per Papa Giovanni Paolo II?
Indimenticabile. Era il 2003. Era un concerto di beneficenza in Vaticano per i bambini. Abbiamo incontrato il papa prima dell’esibizione in un’udienza privata. Da lui ricevemmo un messaggio di ringraziamento per il fatto che partecipavamo a un concerto senza nessuna ricompensa.
Come è nata l’idea dell’Harlem Gospel Choir?
Allen Bailey voleva mettere su un coro che viaggiasse, che portasse in giro per il mondo il messaggio del Vangelo. Così ha fatto.
Continuate a esibirvi regolarmente anche a New York?
Sì. Ogni domenica, facevamo un concerto all’ora del brunch al B.B.King Club. Adesso che hanno chiuso quel locale, ci esibiamo al Sony Club, sempre a Manhattan. Il 24 dicembre abbiamo in programma lì una doppia esibizione natalizia.
Cosa avete ricevuto dalle collaborazioni con tante stelle della musica e dello spettacolo?
Da stelle come Nile Rodgers o Kathy Sledge delle Sisters Sledge ho imparato, per esempio, una lezione come quella della grande umiltà. La stessa cosa è successa con Keith Richards.

Keith Richards dei Rolling Stones

Come è andato il vostro incontro con il chitarrista dei Rolling Stones?
E’ successo quattro anni fa. Lui stava realizzando un suo disco solista e ci trovavamo nello stesso studio di registrazione, Succede che lui passa mentre stiamo incidendo, ci vede si presenta e ci chiede se volevamo registrare una canzone con lui.
E voi?
Dicemmo subito di sì naturalmente (ride ndr). Non avremmo mai pensato che Richards potesse voler collaborare con noi. Lavorare con Keith Richards è stata un’esperienza speciale per il suo calore umano e la sua generosità di artista. Ma è stato così con tutte le star con le quali abbiamo lavorato. Questi grandi artisti sono sempre molto alla mano, non cercano mai di dimostra qualcosa.

Bono degli U2

Qual è stata la collaborazione che ricorda con maggiore entusiasimo?
Ce n’è più di una, per quanto mi riguarda: quella con Bono degli U2, una persona incredibilmente modesta e con un grande senso di gratitudine er gli altri; poi quella con il violinista André Rieu con il quale abbiamo fatto un tour di concerti di musica classica insieme con la sua orchestra; e, infine, quella con i Chieftains.
Come è andata con i Chieftains?
Paddy (Moloney ndr) e Derek (Bell ndr) vennero alle prove di un nostro concerto a New York. Ci dissero che, secondo loro, la musica irlandese e quella afroamericana erano legate dal fatto che entrambi questi popoli hanno sofferto l’oppressione. La nostra collaborazione è nata così ed è stata bellissima.
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