Capitale della cultura, Chiesa in campo
Il gesuita De Gennaro: «Il capoluogo ha sofferto tanto nella sua storia, ma ha sempre avuto la forte voglia di ricostruirsi»
L’AQUILA. Nell'agosto del 1980 fu chiamato a rappresentare enti e associazioni culturali cittadine in un incontro nella sede dell’Arcivescovado, in occasione della visita di Giovanni Paolo II all’Aquila. Anche per questo, padre Giuseppe De Gennaro ha cuore la candidatura del capoluogo abruzzese a capitale italiana per la cultura 2022. Alla vigilia della decisione sull’assegnazione del titolo – e del premio da un milione – a una delle dieci città candidate, il gesuita apre il libro dei ricordi e auspica il riconoscimento per il capoluogo abruzzese.
Originario del Napoletano, padre Giuseppe arrivò in città nel 1968. «Era il 23 settembre e venivo dall’esperienza accademica partenopea», ricorda, «dalle aule della Federico II, della Orientale, l’ateneo di lingue straniere più antico. Erano anni intensi di vita accademica, anche se qui all’Aquila il nucleo accademico ruotava ancora all’ex Magistero. Tuttavia, sotto la spinta di Ernesto Pontieri, rettore prima a Napoli e poi successore di Vincenzo Rivera all’Aquila, abbiamo lavorato a consolidare il nucleo che poi si è trasformato nell’Università statale così come la conosciamo oggi. Fu proprio Pontieri a volermi qui. Tante persone furono coinvolte in quella fase», sottolinea De Gennaro, professore e religioso, oggi padre spirituale dell’Università della Preghiera. «Tra questi mi piace ricordare un altro ex rettore, Giovanni Schippa, scomparso a fine novembre». Anni di fermento, in cui prendevano forza le principali realtà culturali come il Teatro stabile d’Abruzzo, l’Istituzione Sinfonica, la società dei concerti Barattelli. «Quando sono arrivato, mi sono reso conto che questa città era respirabile per la sua meravigliosa aria», commenta. «Sentivo anche forte questa linfa vitale di una città che ha sofferto tanto, ma che ha sempre avuto la forte voglia di ricostruirsi. Una città dalla pianta di Gerusalemme rovesciata, provata dal tempo ma sempre capace di rinascere dalle proprie ceneri». Un’ispirazione, dunque, ammirata anche da personaggi come Madre Teresa di Calcutta che proprio qui suggerì di fondare l’Università della Preghiera. Per De Gennaro «se la cultura ha un senso, il senso è nella spinta vitale, irresistibile, capace di vincere anche la morte, come abbiamo visto nel terremoto: i grandi del mondo che sono arrivati qui, come le migliaia di visitatori, hanno potuto assistere ai nostri passi verso la rinascita. Questo è il significato profondo della locuzione Immota Manet, la capacità di resistere ai segni del tempo e alle ingiurie della sorte, un esempio per l’intero pianeta, specie in un momento come questo, segnato dall’emergenza sanitaria».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Originario del Napoletano, padre Giuseppe arrivò in città nel 1968. «Era il 23 settembre e venivo dall’esperienza accademica partenopea», ricorda, «dalle aule della Federico II, della Orientale, l’ateneo di lingue straniere più antico. Erano anni intensi di vita accademica, anche se qui all’Aquila il nucleo accademico ruotava ancora all’ex Magistero. Tuttavia, sotto la spinta di Ernesto Pontieri, rettore prima a Napoli e poi successore di Vincenzo Rivera all’Aquila, abbiamo lavorato a consolidare il nucleo che poi si è trasformato nell’Università statale così come la conosciamo oggi. Fu proprio Pontieri a volermi qui. Tante persone furono coinvolte in quella fase», sottolinea De Gennaro, professore e religioso, oggi padre spirituale dell’Università della Preghiera. «Tra questi mi piace ricordare un altro ex rettore, Giovanni Schippa, scomparso a fine novembre». Anni di fermento, in cui prendevano forza le principali realtà culturali come il Teatro stabile d’Abruzzo, l’Istituzione Sinfonica, la società dei concerti Barattelli. «Quando sono arrivato, mi sono reso conto che questa città era respirabile per la sua meravigliosa aria», commenta. «Sentivo anche forte questa linfa vitale di una città che ha sofferto tanto, ma che ha sempre avuto la forte voglia di ricostruirsi. Una città dalla pianta di Gerusalemme rovesciata, provata dal tempo ma sempre capace di rinascere dalle proprie ceneri». Un’ispirazione, dunque, ammirata anche da personaggi come Madre Teresa di Calcutta che proprio qui suggerì di fondare l’Università della Preghiera. Per De Gennaro «se la cultura ha un senso, il senso è nella spinta vitale, irresistibile, capace di vincere anche la morte, come abbiamo visto nel terremoto: i grandi del mondo che sono arrivati qui, come le migliaia di visitatori, hanno potuto assistere ai nostri passi verso la rinascita. Questo è il significato profondo della locuzione Immota Manet, la capacità di resistere ai segni del tempo e alle ingiurie della sorte, un esempio per l’intero pianeta, specie in un momento come questo, segnato dall’emergenza sanitaria».
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