Capoclan Bidognetti, arresto-bis in città
Detenuto a Preturo, ha ricevuto in cella un ordine di custodia perché presunto mandante di un omicidio di 25 anni fa
L’AQUILA. È rinchiuso nel carcere aquilano delle Costarelle uno dei boss del clan dei Casalesi, che ieri ha ricevuto in cella un ordine di custodia cautelare come mandante di un omicidio di camorra commesso nel 1992. Stiamo parlando di Francesco Bidognetti, detto “Cicciotto ’e mezzanotte”, che è accusato insieme ad altre tre persone.
I magistrati della Dda di Napoli, infatti, sono riusciti, a distanza di 25 anni, a far luce su un omicidio per il quale sono stati colpiti da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, eseguita dai carabinieri del nucleo investigativo di Caserta, 4 indagati, ritenuti responsabili a vario titolo di concorso in omicidio aggravato dalle finalità mafiose.
Le indagini sono partite nel 2015 in seguito alle dichiarazioni di alcuni pentiti e hanno permesso di ricostruire la dinamica e risalire ai colpevoli dell’efferato omicidio dell’imprenditore di San Nicola La Strada Vincenzo Feola, nella azienda “Appia Calcestruzzi” in viale Carlo III. Secondo il gip, a ordinare la morte dell’uomo sono stati i capi dell’epoca del clan dei Casalesi, Bidognetti e Francesco Schiavone, detenuto a Sassari, e altri due affiliati.
Feola non volle aderire al Consorzio Cedic Calcestruzzo, che gestiva e spartiva in regime di monopolio gli appalti relativi al cemento in tutta la provincia di Caserta: per questo ha pagato.
Bidognetti, che ha 66 anni, è detenuto con il regime del 41 bis dal 1994. Unitamente a Schiavone, è stato il capo della confederazione dei Casalesi (da Casal di Principe), che unisce tutte le famiglie camorristiche del Casertano (“autonomia federativa”). Arrestato il 20 dicembre 1993, è detenuto nel carcere dell’Aquila. Secondo i giudici è ancora «capo carismatico» del clan di appartenenza e riceve di continuo in carcere.
Al punto che, pur stando in cella, il capoclan dei Casalesi riusciva comunque a gestire i propri affari come scoperto due anni fa.
Bidognetti è stato abilissimo: in un unico colloquio al mese, che dura un’ora e al quale sono ammessi i soli parenti più stretti, è riuscito a far capire, con frasi da decodificare e tramite la mimica, come continuare a gestire i propri affari e quelli della sua cosca.
Un linguaggio a volte diretto, altre volte criptico che la Dia, Centro operativo di Napoli, ha ricostruito attraverso lo studio attento delle immagini registrate dalla telecamera nella sala colloqui del carcere dell’Aquila: lo stesso penitenziario in cui era detenuto Francesco Schiavone e dal quale fu trasferito improvvisamente, di notte, due anni fa. Poi sono state adottate le contromisure che hanno inibito le intenzioni di Bidognetti.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
I magistrati della Dda di Napoli, infatti, sono riusciti, a distanza di 25 anni, a far luce su un omicidio per il quale sono stati colpiti da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, eseguita dai carabinieri del nucleo investigativo di Caserta, 4 indagati, ritenuti responsabili a vario titolo di concorso in omicidio aggravato dalle finalità mafiose.
Le indagini sono partite nel 2015 in seguito alle dichiarazioni di alcuni pentiti e hanno permesso di ricostruire la dinamica e risalire ai colpevoli dell’efferato omicidio dell’imprenditore di San Nicola La Strada Vincenzo Feola, nella azienda “Appia Calcestruzzi” in viale Carlo III. Secondo il gip, a ordinare la morte dell’uomo sono stati i capi dell’epoca del clan dei Casalesi, Bidognetti e Francesco Schiavone, detenuto a Sassari, e altri due affiliati.
Feola non volle aderire al Consorzio Cedic Calcestruzzo, che gestiva e spartiva in regime di monopolio gli appalti relativi al cemento in tutta la provincia di Caserta: per questo ha pagato.
Bidognetti, che ha 66 anni, è detenuto con il regime del 41 bis dal 1994. Unitamente a Schiavone, è stato il capo della confederazione dei Casalesi (da Casal di Principe), che unisce tutte le famiglie camorristiche del Casertano (“autonomia federativa”). Arrestato il 20 dicembre 1993, è detenuto nel carcere dell’Aquila. Secondo i giudici è ancora «capo carismatico» del clan di appartenenza e riceve di continuo in carcere.
Al punto che, pur stando in cella, il capoclan dei Casalesi riusciva comunque a gestire i propri affari come scoperto due anni fa.
Bidognetti è stato abilissimo: in un unico colloquio al mese, che dura un’ora e al quale sono ammessi i soli parenti più stretti, è riuscito a far capire, con frasi da decodificare e tramite la mimica, come continuare a gestire i propri affari e quelli della sua cosca.
Un linguaggio a volte diretto, altre volte criptico che la Dia, Centro operativo di Napoli, ha ricostruito attraverso lo studio attento delle immagini registrate dalla telecamera nella sala colloqui del carcere dell’Aquila: lo stesso penitenziario in cui era detenuto Francesco Schiavone e dal quale fu trasferito improvvisamente, di notte, due anni fa. Poi sono state adottate le contromisure che hanno inibito le intenzioni di Bidognetti.
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