Fiaccole di protesta nella notte più lunga
A migliaia in centro storico nel sesto anniversario del terremoto del 2009 Striscioni di denuncia contro le assoluzioni della commissione Grandi rischi
L’AQUILA. Fiaccole di denuncia. Con un pesante fardello nel cuore, per la sesta volta da Quella Notte, a migliaia (10mila in partenza secondo alcune stime) – in testa i familiari delle vittime del terremoto – compongono un serpentone silenzioso che parla attraverso le scritte sulle magliette («06-04-2009: il fatto non sussiste») e sugli striscioni («Il fatto non sussiste ma uccide»).
VIA CRUCIS. Il corteo da via XX Settembre a piazza Duomo – toccando gli altri principali luoghi dei crolli disastrosi – diventa nuova occasione di denuncia. Stavolta nel mirino finisce la magistratura, e dunque, per estensione, lo Stato «che non protegge e si autoassolve nascondendo la verità», come sussurrano i promotori della protesta, per la recente assoluzione in Appello di sei su sette ex componenti della Commissione Grandi rischi, in relazione all’errata valutazione del rischio sismico alla luce dello sciame in atto da mesi. Un corteo col sindaco di Pescara Marco Alessandrini – («L’Aquila non è una zavorra per l’Abruzzo, non credo che Paolo Primavera abbia detto una cosa del genere: è il capoluogo della Regione e ha attraversato un dramma terribile, tutti lavoriamo per farla tornare a volare») – il quale sfila accanto a Massimo Cialente, ma stavolta senza ministri né sottosegretari. Il governo, dunque, è rappresentato dal prefetto che, tuttavia, non si occupa né di fondi per la ricostruzione né di progetti e piani di ricostruzione né di procedure da snellire. Gli «impegni improrogabili» dei vari Delrio, De Micheli e altri spingono Cialente a firmare la giustificazione per tutti. E di nuovo la città diviene campo di battaglia politico sui social network. IL SUDARIO. La via dolorosa nella prima notte dopo Pasqua la compie anche un lenzuolo bianco con su scritti, di colore rosso, i nomi di tutte le vittime del terremoto. Un gigantesco sudario retto da mani gelate che lo stringono come una reliquia. Ogni passo, ogni pietra sfregiata racconta una storia diversa. Chi è rientrato a casa, nella zona di Belvedere, apre la finestra e scatta una foto al serpentone. Quando la testa è alla Casa dello Studente, la coda affronta il primo tratto di via XX Settembre. Alla Villa comunale il corteo si divide in due: i familiari delle vittime raggiungono la zona di via Generale Rossi e di via D’Annunzio. I politici restano all’incrocio del Grand hotel. Poi il corteo si ricompone in forma unitaria. Il punto culminante del dolore collettivo si tocca in piazza Duomo, alla lettura dell’elenco dei nomi, che compare anche su due enormi lapidi collocate nella Cappella della Memoria attigua alle Anime Sante. Una mamma si lamenta con voce sommessa di un accertamento fiscale circa le spese funebri per il figlio, studente di 21 anni.
DOPPI RINTOCCHI. Passata mezzanotte la piazza è piena. I cartelli con le facce sorridenti dei ragazzi che non ce l’hanno fatta diventano sostegni per chi sente mancare le forze. Quindi risuonano una prima volta i rintocchi della campana di Santa Maria del Suffragio. Poi, sempre in silenzio, la folla si disperde. I 309 rintocchi della campana della chiesa di Santa Maria del Suffragio saranno ripetuti alle 3,32. Nella basilica di San Giuseppe Artigiano la messa dell’arcivescovo Giuseppe Petrocchi e la veglia successiva propongono una risposta cristiana all’inspiegabile. Viene letto pure un messaggio del vescovo di Ascoli Piceno Giovanni D’Ercole, già ausiliare all’Aquila. Petrocchi esorta: «Gli aquilani siano comunità unita e diventino protagonisti della ricostruzione senza delegare». Poi invita «a non usare più i termini di morti, scomparsi o defunti» in relazione alle vittime del sisma. «I nostri fratelli sono nella casa del Padre, del Risorto». Quindi, a messa finita, accarezza i volti dei familiari delle vittime andandoli a cercare uno a uno.Fino in fondo alla chiesa. Le autorità in prima fila fanno la stessa cosa.
LA LUNA E I FALÒ. La veglia finisce alle 3,20. Poi, a passi lenti, i resistenti della notte più lunga per ciascun aquilano affrontano l’ultimo atto del cerimoniale: il saluto della giornata che ormai è incipiente col suono delle campane. Un appello silenzioso, una chiamata moltiplicata per 309 volte destinata a non avere risposta. Alla stessa ora, a Onna, una processione più piccola fa gli stessi gesti. E le fiaccole vengono portate nel buio del paese cancellato. Pure in piazza Duomo il gruppo ora si è ristretto. Le suore Ferrari che hanno cantato in chiesa fanno corona attorno al falò attrezzato dai giovani che bruciano le torce smozzicate. Parte la campana, gli occhi si chiudono. Scendono lacrime. Tornando a casa si sentono già gli uccelli cinguettare.
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