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L'Aquila, un pentito rivela: «Ecco gli aquilani amici dei boss»

Le infiltrazioni della ’Ndrangheta nel post terremoto, testimone ascoltato nel processo a carico di Biasini e due calabresi: «Avviati contatti con altre persone che volevano lavorare nella ricostruzione»

L’AQUILA. Ci sarebbero stati anche altri piccoli imprenditori dell’Aquilano, impegnati nella ricostruzione, che in qualche modo hanno avuto contatti con esponenti della ’ndrangheta. Lo si è appreso nel corso del processo che vede come imputati il giovane imprenditore aquilano Stefano Biasini e due calabresi, Francesco Ielo e Antonino Vincenzo Valenti, accusati di essere vicini al clan Caridi-Zindato-Borghetto, contestazioni respinte al mittente dagli imputati.

Il collaboratore di giustizia, persona di spicco in passato nella malavita organizzata calabrese, ascoltato nel processo secondo procedure di segretezza, doveva essere un teste d’accusa e, pertanto, ha snocciolato qualche altro nome di persone della zona che erano state in contatto con cosche malavitose o, perlomeno, ci avevano provato. Si trattava, perlopiù, di contatti finalizzati per l’uso di mezzi per lavorare in edilizia. Va comunque detto che queste affermazioni, finora inedite, sono però note agli investigatori visto che il testimone calabrese ha sostanzialmente confermato affermazioni già fatte in istruttoria, e dunque in possesso alle forze dell’ordine.

Questo, al di là del processo, testimonia come il tentativo di “sbarco” della malavita calabrese per la ricostruzione in Abruzzo, sia un fatto accertato e non va minimizzato. Poi, però, in relazione al processo Biasini, nonostante la massima attenzione prestata da giudici e avvocati alle parole del testimone, non sembra che siano uscite quelle conferme incisive alle accuse che si ipotizzavano. Non si è andati molto oltre affermazioni e conferme generiche che aggiungono poco a quello che già si sa sullo specifico caso che poggia soprattutto sulle intercettazioni, visto che di soldi ne sono girati pochi.

Eppure il soggetto ascoltato non è certo un personaggio di secondo piano nel variegato universo di pentiti. Si tratta di un crotonese che ha avuto un ruolo di primo piano in Lombardia, e quando ha iniziato a collaborare ha raccontato fatti su vicende molto importanti avvenute in provincia di Milano. Ovviamente ha una sfilza infinita di reati sulla sua fedina penale. Al punto che uno dei legali presenti in aula si è rammaricato del fatto che «l’esito di certi processi possa essere condizionato da affermazioni fatte da gente di questo tipo».

Il collegio, inoltre, ha dissequestrato una macchina che appartiene a Valenti, persona che, tra l’altro, il collaboratore non ha mai citato nella sua deposizione. Il processo davanti al tribunale collegiale è stato aggiornato al 22 gennaio del prossimo anno e poi al 19 febbraio per sentire altri testimoni compresi quelli della difesa. Il principale imputato, Biasini, inguaiato dalle intercettazioni, ha sempre negato di avere avuto la consapevolezza di stare a trattare con persone poco raccomandabili, ma finora i magistrati non gli hanno creduto. A discarico, il fatto che la forza lavoro di Biasini era limitata a uno o due operai e la scarsa manovalanza gli ha provocato la perdita irrevocabile di due contratti d’appalto che furono revocati. I suoi avvocati hanno commentato questo aspetto dicendo che se avesse avuto reali contatti con la malavita di certo non avrebbe perso quegli appalti. Nel corso del giudizio gli imputati sono assistiti dagli avvocati Vincenzo Salvi, Amedeo Ciuffetelli, Attilio Cecchini.

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