Luca e Cristian, dispersi sul Gran Sasso. Così i soccorritori hanno provato a salvarli
Il segnale d’allarme è stato lanciato all’ora di pranzo del 22 dicembre. Da allora i soccorritori hanno iniziato una lotta contro il tempo per recuperarli prima che fosse troppo tardi, mettendo a rischio la loro stessa vita. Ma con la montagna non si scherza, come questa storia, per l’ennesima volta, ci ha ricordato.
Cristian Gualdi, 48 anni, e Luca Perazzini, 42 anni, entrambi di Santarcangelo di Romagna, conoscono bene la montagna, la sua bellezza e le sue insidie. Quando, verso l’ora di pranzo del 22 dicembre, arriva la segnalazione che due alpinisti sono scivolati nel canalone di Vallone dell’Inferno, a 2600 metri di quota, sul Corno Grande del Gran Sasso, non si conoscono i nomi. Si pensa che siano due inesperti, finiti nel posto sbagliato al momento sbagliato. Poi, con i nomi esce fuori una storia di amicizia di lunga data e di una passione di una vita per l’alpinismo. Una foto li ritrae sorridenti, alla fine di una delle tante vette raggiunte nel corso degli anni. Si vede che la montagna è il loro posto, che non sono lì per caso. Ma la bufera che si abbatte sul Gran Sasso, e che deciderà di dare tregua ai soccorritori solo cinque giorni dopo, non fa sconti. Nemmeno a chi la montagna la conosce nel profondo.
Luca e Cristian riescono a mettersi in contatto con i soccorritori della Squadra alpina dell’Aquila poco dopo essere scivolati nel canalone. Uno dei due ha perso uno scarpone e lo zaino, forse è ferito. Dicono di essere a circa 20 metri di distanza l’uno dall’altro, ma che riescono a comunicare. I soccorritori tentano di iniziare le operazioni di salvataggio immediatamente, ma il vento cambia, si fa impetuoso, e poi scende la notte. Bisognerà aspettare domani.
Quella notte la temperatura arriva -10 gradi. I soccorritori sanno che per il corpo umano resistere a quel freddo è difficile, ma i due alpinisti sono attrezzati, se trovassero un anfratto potrebbero superare il gelo della notte. Dalla sera precedente non ci sono più contatti, ma la speranza di ritrovarli vivi continua ad essere accesa. La mattina del 23 un elicottero ha in programma di partire alle prime luci dell’alba. Il meteo, però, è un ostacolo insormontabile, proibisce al veicolo di prendere quota e di effettuare una ricerca che, da quella altezza, faciliterebbe le operazioni. Ma è una corsa contro il tempo, più si posticipano le ricerche più le speranze diminuiscono. I soccorritori lo sanno, conoscono quella montagna. La sera prima, nonostante le intemperie, sono saliti in 11 sul Corno Grande attraverso la funivia del Gran Sasso d’Italia, accompagnati da 7 membri dello staff dell’Ostello “Lo Zio” di Campo Imperatore, a quota 2100 metri.
Anche questa volta i tentativi di raggiungere Luca e Cristian sono vani. La bufera continua a dettare il tempo alle operazioni di soccorso, scandendo lunghi momenti di pausa. La speranza c’è, ma è sempre più flebile. In più, nel tentativo di accellerare i tempi gli stessi soccorritori incontrano dei rischi: a causa del vento la funivia ha un guasto e non possono più scendere dalla montagna. Sono bloccati in 18 a 2100 metri di quota. Fortunatamente, l’ostello ha posto e cibo a sufficienza per tutti. Non c’è alternativa all’attesa.
Il 24 il tempo non migliora, l’elicottero non può decollare e i soccorritori ancora non possono scendere a valle. Più provano a stringere i tempi, più la montagna sembra prendersi gioco di loro, ricordando che è lei ad avere sempre l’ultima parola. Non sembra più il Gran Sasso ma delle sabbie mobili biancastre, più soffici ma ugualmente fangose, che li incatena là mentre il tempo, inesorabile, scorre. E così, in questa situazione surreale, in cui sono bloccati sia i soccorritori che i soccorsi, passa la notte di Natale.
Il giorno di Natale il tempo migliora abbastanza da permettere di rimettere in funzione la funivia. E così le 18 persone bloccate dalla bufera riescono a scendere a valle per mezzogiorno, in tempo per riabbracciare le loro famiglie. La concentrazione resta su Luca e Cristian, ancora bloccati a 2600 metri.
Il giorno di Santo Stefano le ricerche proseguono, sebbene limitate dal meteo che continua a rendere tutto più difficile. L’elicottero riesce a decollare ma deve interrompere il volo per mancanza di visibilità e per l'eccessivo vento. Come racconterà Marco Moreschini del nucleo di soccorso alpino dell'Arma dell'Aquila, un gruppo è riuscito ad arrivare al Vallone dell’Inferno ma non ha trovato alcuna traccia. Il vento e la neve rendono impossibile trovare qualunque segno della loro presenza nel canalone.
Infine, il 27 dicembre, il bel tempo arriva sul Corno Grande, il vento si abbassa e il sole finalmente rende visibile ciò che prima era nascosto. Si capisce da subito che potrebbe essere il giorno decisivo per le ricerche. Alle 10:48 parte l’elicottero, dopo pochi minuti viene notata una macchia sospetta. Una squadra di terra, composta da 7 membri e 2 cani, scende nel canalone per cercare di capire di che si tratta. Così trovano il primo dei due corpi. Il secondo, invece, viene ritrovato grazie all’intuito di Marco Iovinetti, il vice capostazione della Squadra di soccorso alpino dell’Aquila. Iovinetti pensa che i due potrebbero non stare a 20 metri di distanza come si riteneva inizialmente ma che, al contrario, potrebbero essere più vicini. Ed in effetti, grazie ad una sonda – non la Recco, ma una più tradizionale – il secondo corpo viene ritrovato, a circa 5 metri dal primo. Probabilmente i due hanno cercato di ricongiungersi, sapevano di avere più possibilità di sopravvivere stando vicini, sono stati quasi al punto di toccarsi. Ma a volte 5 metri possono rappresentare una distanza incolmabile.
Tutti hanno sperato fino all’ultimo. Hanno sperato i familiari di Luca e Cristian, arrivati di corsa alla base della funivia in attesa di una buona notizia. Hanno sperato i soccorritori (composti, nelle operazioni di soccorso del 27, dal personale del Soccorso alpino e speleologico d'Abruzzo e dal Soccorso alpino della Guardia di Finanza), che non hanno avuto paura di affrontare i rischi del mestiere pur di restituire i due romagnoli alla famiglia. Ha sperato la comunità di Santarcangelo di Romagna, il cui palazzo comunale tiene le bandiere a mezz’asta in segno di lutto. Ha sperato l’Abruzzo, che dopo questa triste vicenda conta ben 12 morti in seguito ad incidenti in montagna nel 2024, il doppio rispetto all’anno precedente. Ha sperato l’Italia intera, perché, di fronte alla forza immane della natura, noi uomini ci sentiamo accomunati dallo stesso destino, esseri minuscoli incapaci di controllare il corso degli eventi. Chi riesce a ribellarsi al fato lo fa a nome di tutta l’umanità. Nonostante tutti gli sforzi compiuti, questa volta non è stato possibile.