Monumenti, tre miliardi di danni
Solo 4 Governi esteri hanno finanziato il restauro di chiese e palazzi.
L’AQUILA. Le frustate del terremoto hanno inferto un colpo tremendo al cuore storico e architettonico dell’Aquila. Hanno deturpato i tesori più preziosi, hanno lacerato chiese e monumenti, hanno piegato la sensibilità artistica di quella che fino al 6 aprile - e non c’è da dubitare che tornerà a esserlo anche in futuro - è stata una delle più belle città d’arte italiane. Tre miliardi di euro è la stima dei danni al patrimonio storico e architettonico della città; circa 10 anni, invece, il tempo previsto per un’ampia, anche se non completa, fruibilità del centro storico. Alcuni monumenti sono stati già adottati da governi stranieri, come nel caso della Francia che ha finanziato con 3 milioni e 200mila euro la metà del restauro della chiesa delle Anime sante.
Il governo kazako ha mantenuto le promesse donando un milione e 700mila euro per il complesso monumentale e la chiesa di San Biagio d’Amiternum. Non è stata da meno la Russia che ha assicurato il restauro totale di palazzo Ardinghelli e di complesso monumentale e chiesa di San Gregorio Magno. Infine la Germania con la chiesa di San Pietro Apostolo. Per gli altri tante promesse e la speranza appesa al lavoro delle diplomazie internazionali. Lo conferma l’ingegner Luciano Marchetti, vice commissario con delega ai Beni culturali. «Le adozioni sono discorsi aperti, ma siamo in dirittura d’arrivo».
COME SARÀ L’AQUILA. Sulla visione prospettica della città si intrecciano i pareri e le proposte. Marchetti parte da un presupposto: «Le scelte saranno appannaggio dei cittadini dell’Aquila. Le normative cominciano a venire fuori. La popolazione vorrebbe tutto com’era e dov’era, ma ho già spiegato che è relativo. L’obiettivo è recuperare il possibile di quello che è sopravvissuto, mantenendone l’autenticità. Per citare un esempio: stiamo lavorando nella sistemazione della chiesa Santa Maria a Paganica e questo lavoro comporta alcune scelte, come quella di decidere come si ricostruiranno la copertura e le volte o il lato in cui i prospetti delle cappelle sono crollati. Le scelte dovranno essere frutto di un dibattito e di una partecipazione della città e dei suoi rappresentanti».
I TEMPI. Il primo passaggio, come spiega Marchetti, «è quello di utilizzare i fondi a disposizione per il completamento della messa in sicurezza attraverso piccole gare e la selezione del materiale da recuperare. Si pensi che il centro storico è puntellato solo per una parte. Entro la fine della prossima settimana completeremo la selezione del materiale della chiesa delle Anime Sante e lo sposteremo a Santa Maria a Paganica, dove lo spessore delle macerie supera i due metri. Su ogni singolo monumento l’intervento minimo che si può fare ogni anno è di 2 milioni di euro. Il restauro comporta determinati tempi non comprimibili. In una decina di anni il centro sarà fruibile».
LA CURIA. Il giovane don Luigi Epicoco ha un incarico prestigioso e delicato, quello della gestione della ricostruzione dei beni artistici della chiesa. Il sacerdote conferma la stima dei danni in 3 miliardi di euro. «L’85% dei danni è riconducibile al patrimonio ecclesiastico», specifica, «a oggi ancora non disponiamo di un quadro finanziario chiaro per capire dove e come cominciare con la ricostruzione». Nei prossimi giorni la Curia uscirà con un «master plan», un progetto volàno per il recupero e il ripristino dei monumenti. «Siamo mossi da un’idealità di fondo», spiega, «non solo com’era e dov’era, ma anche per farci cosa? Faccio un esempio: la chiesa di San Domenico è persino più grande della cattedrale. Noi la recuperiamo, ma l’idea è quella di un auditorium che possa accogliere le associazioni e sia al servizio della città. Dobbiamo recuperare ciò che va recuperato ma seguendo critieri antisimici. È inutile rimettere su cose a rischio. Nel caso di alcuni crolli la ricostruzione sarebbe un falso storico, una copiatura».
TERREMOTI DEL PASSATO. «Negli altri terremoti», informa, «le culture dell’epoche non hanno avuto paura di segnare la ricostruzione. Non vogliamo costruire un falso ma disegnare con un’architettura di alto livello il centro storico. Accanto alla chiesa del Seicento dobbiamo avere il coraggio di costruire con interventi di architettura seri. L’architettura contemporanea non è questione di volume, non confondiamola con i palazzinari. È un’espressione altissima di arte. Il terremoto è stata una tragedia che oggi ci offre un’opportunità».
I CANTIERI. Sui lavori di ristrutturazione e restauro delle chiese la legge consente alla Curia una certa autonomia, a patto che il finanziamento dello Stato non superi il 50 per cento dell’importo. «Abbiamo pensato a un concorso di idee», chiarisce don Epicoco, «che può andar bene per alcune opere. Su altre dobbiamo partire subito con i cantieri perché altrimenti rischiamo di discutere e basta. Dobbiamo unire parole e fatti. Al di là del fatto che l’involucro burocratico permette alla Chiesa di agire in autonomia bisogna fare in modo che la ricostruzione sia un progetto condiviso, altrimenti diventa un’imposizione di scelte. Noi abbiamo una doppia responsabilità e dobbiamo dare l’esempio.
Io che faccio il prete e insegno filosofia sto imparando una cosa in questi mesi: ci sono idee sulla carta e c’è la realtà. Dobbiamo parlarne e avere una tensione dialettica, non avere paura di confrontarci. Sto insistendo perchè i primi cantieri partano a gennaio. Ci vogliono i soldi: quelli dello Stato sulla ricostruzione, e su questo aspettiamo la finanziaria di dicembre, e poi i finanziamenti europei e quelli dei privati. In più dovremo metterci sviluppo e tecnologia».
Il governo kazako ha mantenuto le promesse donando un milione e 700mila euro per il complesso monumentale e la chiesa di San Biagio d’Amiternum. Non è stata da meno la Russia che ha assicurato il restauro totale di palazzo Ardinghelli e di complesso monumentale e chiesa di San Gregorio Magno. Infine la Germania con la chiesa di San Pietro Apostolo. Per gli altri tante promesse e la speranza appesa al lavoro delle diplomazie internazionali. Lo conferma l’ingegner Luciano Marchetti, vice commissario con delega ai Beni culturali. «Le adozioni sono discorsi aperti, ma siamo in dirittura d’arrivo».
COME SARÀ L’AQUILA. Sulla visione prospettica della città si intrecciano i pareri e le proposte. Marchetti parte da un presupposto: «Le scelte saranno appannaggio dei cittadini dell’Aquila. Le normative cominciano a venire fuori. La popolazione vorrebbe tutto com’era e dov’era, ma ho già spiegato che è relativo. L’obiettivo è recuperare il possibile di quello che è sopravvissuto, mantenendone l’autenticità. Per citare un esempio: stiamo lavorando nella sistemazione della chiesa Santa Maria a Paganica e questo lavoro comporta alcune scelte, come quella di decidere come si ricostruiranno la copertura e le volte o il lato in cui i prospetti delle cappelle sono crollati. Le scelte dovranno essere frutto di un dibattito e di una partecipazione della città e dei suoi rappresentanti».
I TEMPI. Il primo passaggio, come spiega Marchetti, «è quello di utilizzare i fondi a disposizione per il completamento della messa in sicurezza attraverso piccole gare e la selezione del materiale da recuperare. Si pensi che il centro storico è puntellato solo per una parte. Entro la fine della prossima settimana completeremo la selezione del materiale della chiesa delle Anime Sante e lo sposteremo a Santa Maria a Paganica, dove lo spessore delle macerie supera i due metri. Su ogni singolo monumento l’intervento minimo che si può fare ogni anno è di 2 milioni di euro. Il restauro comporta determinati tempi non comprimibili. In una decina di anni il centro sarà fruibile».
LA CURIA. Il giovane don Luigi Epicoco ha un incarico prestigioso e delicato, quello della gestione della ricostruzione dei beni artistici della chiesa. Il sacerdote conferma la stima dei danni in 3 miliardi di euro. «L’85% dei danni è riconducibile al patrimonio ecclesiastico», specifica, «a oggi ancora non disponiamo di un quadro finanziario chiaro per capire dove e come cominciare con la ricostruzione». Nei prossimi giorni la Curia uscirà con un «master plan», un progetto volàno per il recupero e il ripristino dei monumenti. «Siamo mossi da un’idealità di fondo», spiega, «non solo com’era e dov’era, ma anche per farci cosa? Faccio un esempio: la chiesa di San Domenico è persino più grande della cattedrale. Noi la recuperiamo, ma l’idea è quella di un auditorium che possa accogliere le associazioni e sia al servizio della città. Dobbiamo recuperare ciò che va recuperato ma seguendo critieri antisimici. È inutile rimettere su cose a rischio. Nel caso di alcuni crolli la ricostruzione sarebbe un falso storico, una copiatura».
TERREMOTI DEL PASSATO. «Negli altri terremoti», informa, «le culture dell’epoche non hanno avuto paura di segnare la ricostruzione. Non vogliamo costruire un falso ma disegnare con un’architettura di alto livello il centro storico. Accanto alla chiesa del Seicento dobbiamo avere il coraggio di costruire con interventi di architettura seri. L’architettura contemporanea non è questione di volume, non confondiamola con i palazzinari. È un’espressione altissima di arte. Il terremoto è stata una tragedia che oggi ci offre un’opportunità».
I CANTIERI. Sui lavori di ristrutturazione e restauro delle chiese la legge consente alla Curia una certa autonomia, a patto che il finanziamento dello Stato non superi il 50 per cento dell’importo. «Abbiamo pensato a un concorso di idee», chiarisce don Epicoco, «che può andar bene per alcune opere. Su altre dobbiamo partire subito con i cantieri perché altrimenti rischiamo di discutere e basta. Dobbiamo unire parole e fatti. Al di là del fatto che l’involucro burocratico permette alla Chiesa di agire in autonomia bisogna fare in modo che la ricostruzione sia un progetto condiviso, altrimenti diventa un’imposizione di scelte. Noi abbiamo una doppia responsabilità e dobbiamo dare l’esempio.
Io che faccio il prete e insegno filosofia sto imparando una cosa in questi mesi: ci sono idee sulla carta e c’è la realtà. Dobbiamo parlarne e avere una tensione dialettica, non avere paura di confrontarci. Sto insistendo perchè i primi cantieri partano a gennaio. Ci vogliono i soldi: quelli dello Stato sulla ricostruzione, e su questo aspettiamo la finanziaria di dicembre, e poi i finanziamenti europei e quelli dei privati. In più dovremo metterci sviluppo e tecnologia».