Pochi aquilani nel corteo
Forse ha inciso anche il timore di incidenti.
L’AQUILA. Beh sì. Gli aquilani hanno snobbato il corteo dei no global. Potrebbe essere successo per una serie di motivi, fra cui anche la paura di possibili incidenti. Quasi tutti i comitati cittadini, nati dopo il terremoto del sei aprile, avevano dato libertà ai loro aderenti di partecipare o meno alla manifestazione di ieri. E la gran parte si è defilata. Comunque la voce degli aquilani si è fatta sentire lo stesso. All’inizio del corteo slogan e striscioni per chiedere una rapida ricostruzione. Ieri mattina mi sono fatto una decina di chilometri a piedi lungo la statale 17: da Onna a Sant’Elia. Camminare sulla statale così a lungo non mi capitava dal febbraio del 1972, quando L’Aquila fu messa a ferro e fuoco dai cittadini che non volevano che come capoluogo di Regione fosse indicata Pescara.
Facevo la prima media nella scuola Patini, dove oggi c’è la sede del consiglio regionale. Fui costretto a tornare a piedi a Onna con un compagno di scuola perché le strade erano tutte bloccate da enormi falò che venivano alimentati dalle gomme delle auto. Ho voluto partecipare al corteo sia per raccontarlo da giornalista ma anche, se non soprattutto, perchè terremotato. Ho pensato: se il G8 serve a tenere sull’Aquila i riflettori della politica e della stampa mondiale, anche questo corteo può aiutare, sempre che non accadano incidenti. E incidenti non sono accaduti. Sono arrivato intorno a mezzogiorno a Onna e sono andato subito verso il bivio per Monticchio sulla Statale 17. Era lì che si erano dati appuntamento i manifestanti. Ho visto arrivare tanti giovani, ma anche persone più attempate.
Al di là dei bastoni di plastica per sorreggere le bandiere e di qualche bottiglia d’acqua non ho visto altri oggetti che potevano essere utilizzati per offendere. Prima della partenza grande ressa davanti a due furgoni attrezzati a paninoteca: porchetta a volontà, qualche bottiglia di birra, coca -cola (che non è proprio la bevanda preferita dai no global), aranciata. Nel piazzale della stazione di Paganica, prima del terremoto, all’una di ogni giorno c’era un gran via vai di macchine. Il bar era punto di ritrovo per aperitivi o per un rapido spuntino. O anche solo per comprare le sigarette. Ora il locale è chiuso causa sisma. A dire il vero all’inizio ho visto solo molti giornalisti, fotografi e cineoperatori. Nessuno l’ha detto esplicitamente ma è chiaro che la gran parte di loro era lì prevedendo scontri se non vera e propria guerriglia. Ho cominciato a guardarmi intorno.
Cercavo le facce degli aquilani. Certo non ho la pretesa di conoscerle tutte. Però ne ho viste poche. C’era Stefano Frezza che è nell’area no global ma che ho sempre apprezzato per la moderazione dei gesti e delle parole. Mi ha salutato, più tardi, da vecchio amico. Aveva appena fatto una dichiarazione a una tv: gli aquilani rivogliono le loro case, e vogliono tornare al più presto ad abitare nella loro città. Io, che non sono no global, ma solo un povero terremotato, sono d’accordo. A Bazzano siamo passati davanti alla tendopoli. Un collega era andato a sentire gli sfollati per sapere la loro opinione. La risposta è stata variegata: curiosità, indifferenza, non avversione preconcetta.
A titolo personale c’era anche l’assessore comunale Antonio Lattanzi. Anche lui non ce l’ho mai visto nella parte del barricadero. Ha le sue idee, le esprime e vanno rispettate. E poi Terenzio De Benedictis, Gianvito Pappalepore, Alfonso De Amicis, Enrico Perilli. Tutte persone impegnate nel sociale. Lontane mille miglia da chi pensa che per farsi valere servono gesti violenti. Gli striscioni degli aquilani sono stati fatti sfilare davanti al corteo. In tutti si esprimevano forti critiche al modo in cui il governo sta gestendo il dopo terremoto. La parola d’ordine è stata: ricostruzione al cento per cento e no alle speculazioni. Poco prima dell’ingresso della superstrada di Bazzano si sparge una voce. Stanno arrivando i no global violenti, vogliono unirsi al corteo per «invadere» il cantiere del progetto Case a Bazzano.
La voce giunge anche alla polizia e all’ingresso del cantiere vengono schierati molti uomini delle forze dell’ordine. Ma si avanza senza problemi. Un negozio di elettrodomestici è chiuso: davanti alle vetrine sono stati sistemati dei cartoni e dei pezzi di legno. Meglio prevenire. Alcuni operai al lavoro a Bazzano per costruire le case agli sfollati si fermano e guardano i partecipanti al corteo. Qualcuno saluta. Un paio alzano il braccio con il pugno chiuso. Parte un grido: sì alle case no ai ghetti. In effetti il timore che molta gente possa essere “deportata” da dove abitava prima e messa per chissà quanto tempo dentro questi enormi condomini antisismici c’è. Ma va pure dato un tetto a chi non ce l’ha più. Il che non deve significare che tutto è stato risolto. Il problema della ricostruzione del centro storico dell’Aquila, di Paganica e degli altri paesi del cratere è ancora tutto da affrontare. Di soldi finora se ne sono visti pochi.
Facevo la prima media nella scuola Patini, dove oggi c’è la sede del consiglio regionale. Fui costretto a tornare a piedi a Onna con un compagno di scuola perché le strade erano tutte bloccate da enormi falò che venivano alimentati dalle gomme delle auto. Ho voluto partecipare al corteo sia per raccontarlo da giornalista ma anche, se non soprattutto, perchè terremotato. Ho pensato: se il G8 serve a tenere sull’Aquila i riflettori della politica e della stampa mondiale, anche questo corteo può aiutare, sempre che non accadano incidenti. E incidenti non sono accaduti. Sono arrivato intorno a mezzogiorno a Onna e sono andato subito verso il bivio per Monticchio sulla Statale 17. Era lì che si erano dati appuntamento i manifestanti. Ho visto arrivare tanti giovani, ma anche persone più attempate.
Al di là dei bastoni di plastica per sorreggere le bandiere e di qualche bottiglia d’acqua non ho visto altri oggetti che potevano essere utilizzati per offendere. Prima della partenza grande ressa davanti a due furgoni attrezzati a paninoteca: porchetta a volontà, qualche bottiglia di birra, coca -cola (che non è proprio la bevanda preferita dai no global), aranciata. Nel piazzale della stazione di Paganica, prima del terremoto, all’una di ogni giorno c’era un gran via vai di macchine. Il bar era punto di ritrovo per aperitivi o per un rapido spuntino. O anche solo per comprare le sigarette. Ora il locale è chiuso causa sisma. A dire il vero all’inizio ho visto solo molti giornalisti, fotografi e cineoperatori. Nessuno l’ha detto esplicitamente ma è chiaro che la gran parte di loro era lì prevedendo scontri se non vera e propria guerriglia. Ho cominciato a guardarmi intorno.
Cercavo le facce degli aquilani. Certo non ho la pretesa di conoscerle tutte. Però ne ho viste poche. C’era Stefano Frezza che è nell’area no global ma che ho sempre apprezzato per la moderazione dei gesti e delle parole. Mi ha salutato, più tardi, da vecchio amico. Aveva appena fatto una dichiarazione a una tv: gli aquilani rivogliono le loro case, e vogliono tornare al più presto ad abitare nella loro città. Io, che non sono no global, ma solo un povero terremotato, sono d’accordo. A Bazzano siamo passati davanti alla tendopoli. Un collega era andato a sentire gli sfollati per sapere la loro opinione. La risposta è stata variegata: curiosità, indifferenza, non avversione preconcetta.
A titolo personale c’era anche l’assessore comunale Antonio Lattanzi. Anche lui non ce l’ho mai visto nella parte del barricadero. Ha le sue idee, le esprime e vanno rispettate. E poi Terenzio De Benedictis, Gianvito Pappalepore, Alfonso De Amicis, Enrico Perilli. Tutte persone impegnate nel sociale. Lontane mille miglia da chi pensa che per farsi valere servono gesti violenti. Gli striscioni degli aquilani sono stati fatti sfilare davanti al corteo. In tutti si esprimevano forti critiche al modo in cui il governo sta gestendo il dopo terremoto. La parola d’ordine è stata: ricostruzione al cento per cento e no alle speculazioni. Poco prima dell’ingresso della superstrada di Bazzano si sparge una voce. Stanno arrivando i no global violenti, vogliono unirsi al corteo per «invadere» il cantiere del progetto Case a Bazzano.
La voce giunge anche alla polizia e all’ingresso del cantiere vengono schierati molti uomini delle forze dell’ordine. Ma si avanza senza problemi. Un negozio di elettrodomestici è chiuso: davanti alle vetrine sono stati sistemati dei cartoni e dei pezzi di legno. Meglio prevenire. Alcuni operai al lavoro a Bazzano per costruire le case agli sfollati si fermano e guardano i partecipanti al corteo. Qualcuno saluta. Un paio alzano il braccio con il pugno chiuso. Parte un grido: sì alle case no ai ghetti. In effetti il timore che molta gente possa essere “deportata” da dove abitava prima e messa per chissà quanto tempo dentro questi enormi condomini antisismici c’è. Ma va pure dato un tetto a chi non ce l’ha più. Il che non deve significare che tutto è stato risolto. Il problema della ricostruzione del centro storico dell’Aquila, di Paganica e degli altri paesi del cratere è ancora tutto da affrontare. Di soldi finora se ne sono visti pochi.