Recuperate due preziose tele ridotte dal sisma in 1.500 pezzi
I dipinti di Damini erano conservati nella chiesa di Santa Maria Paganica distrutta dal terremoto Colasacco: «Un miracolo insperato: un restauro certosino le ha riportate al loro antico splendore»
L’AQUILA. Lo definisce un «miracolo». La storica dell’arte della Soprintendenza ai beni culturali Bianca Maria Colasacco è ancora incredula quando mostra il restauro di due opere di Vincenzo Damini, conservate fino al 2009 all’interno della chiesa di Santa Maria Paganica, alla platea che riempie l’Auditorium del Parco del Castello, per partecipare al convegno in occasione del quarantennale dalla fondazione del club cittadino del Soroptimist. «Un lavoro durato quasi quattro anni, di cui pochissimi sono a conoscenza», spiega prima di passare in rassegna, con alcune diapositive, le immagini delle tele fatte a pezzi, in 1500 pezzi, dal terremoto e poi quasi miracolosamente tornate all’antico splendore.
«La chiesa di Santa Maria Paganica è stata distrutta dal sisma», dice la storica dell’arte. «Sotto la montagna di macerie, in una delle cappelle, abbiamo ritrovato due tele di un pittore veneto del Settecento, Vincenzo Damini, lo stesso che aveva lavorato a Palazzo Ardinghelli e in molte altre chiese della città e dei dintorni». Si tratta di una coppia di tele, di uguali dimensioni (232 per 178 centimetri), raffiguranti «La fuga in Egitto» e «Lo sposalizio della Vergine» (quest’ultima firmata dall’autore e datata 1741) che prima del 6 aprile 2009 erano l’una di fronte all’altra nella chiesa capoquarto. «I dipinti, espulsi dalle cornici in stucco, sono venuti giù, investiti e sepolti per lungo tempo dai detriti della volta crollata e ridotti a un cumulo scomposto e informe di oltre 1500 frammenti di tela irrigiditi e accartocciati. Inoltre, un gravissimo attacco biologico e uno strato di polvere compatta rendevano indecifrabili le superfici pittoriche», continua Colasacco. «Il drammatico stato di conservazione non alimentava speranze di sorta: le due opere sembravano irrecuperabili e destinate ad accrescere il numero dei dipinti vittime del sisma oltre al Patini del Duomo e al Nicola Malinconico di Collemaggio».
A diversi mesi dal sisma è cominciato il lavoro di recupero dei 1500 frammenti, con una tecnica di carattere archeologico. «Nessuno poteva immaginare quale sarebbe stato il risultato», continua Colasacco. «A vederle ridotte a brandelli non avrei scommesso nulla sul recupero». Il restauro è avvenuto in due lotti: un primo per tentare di rimettere insieme i frammenti recuperati e un secondo per la reintegrazione delle lacune. «Al termine della fase conservativa, con lo spianamento e il riassemblaggio dei frammenti e il recupero di circa il 95% delle tele originali, i dipinti avevano l’aspetto di un parabrezza infranto, per cui ho ritenuto indispensabile prevedere una seconda fase di lavorazioni finalizzate alla presentazione estetica delle superfici. Alla fine di un lavoro così complesso, le opere hanno recuperato tutto il loro splendore». Il restauro, reso possibile grazie ai fondi ottenuti con l’apertura del conto corrente «Salviamo l’arte in Abruzzo», da parte del ministero, subito dopo il terremoto, è stato eseguito da Lorenza D’Alessandro e Giorgio Capriotti e diretto dalla stessa Colasacco. «Ogni volta che guardo le immagini che mostrano il prima e il dopo mi emoziono», conclude la Colasacco, tra gli applausi del pubblico. «Non posso che pensare a un miracolo».
Michela Corridore
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