L'AQUILA
Ricostruzione, prima condanna-simbolo contro le infiltrazioni camorristiche
Sette anni a due fratelli per estorsione ai lavoratori nei cantieri: «Costretti a riconsegnare lo stipendio»
L'AQUILA. «Sai quanti Casalesi lavorano all’Aquila...». Così diceva Alfonso Di Tella, intercettato nell’inchiesta Dirty Job sulla ricostruzione dell’Aquila e sulle infiltrazioni della camorra, a un imprenditore locale. Il casertano di origine a condanna non ci è arrivato, perché morto nel 2017 mentre si svolgeva il processo in cui era imputato per estorsione, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Ma i due figli, imputati con lui, sì: ieri il tribunale dell’Aquila ha inflitto la pena di sette anni e quattro mesi di reclusione, oltre a 18mila euro di multa e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, ai fratelli Domenico e Cipriano Di Tella. Si tratta della prima condanna-simbolo contro le infiltrazioni camorristiche nella Ricostruzione.
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I Di Tella, secondo l'accusa, «portavano e alloggiavano all'Aquila quei lavoratori, li facevano assumere dagli imprenditori aquilani, che alla fine emettevano una busta paga con importi corretti, ma poi la offrivano ai Di Tella che gestivano una contabilità separata e occulta». Erano una decina i condomìni appaltati a persone vicine ai Casalesi per 20 milioni di euro di lavori, ma anche che tutte le opere erano state eseguite a regola d’arte. Dopo sette anni di ritardi è arrivata la condanna-simbolo.
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