PESCARA / SERIE C
Mattia nel nome del padre: «Babbo, il calcio e la caccia. Vi racconto casa Baldini»
Figlio e collaboratore tecnico di Silvio: «Non sono un raccomandato In campo è il mister, fuori il mio tutto ed è un nonno straordinario»
PESCARA. «Da piccoli non andavamo al luna park o al parco giochi, con lui si andava a caccia con i cani o nei boschi a passeggiare». Da padre in figlio: dalle passioni, ai valori fino al lavoro. Ogni figlio cita suo padre, con le parole e con i fatti. Mattia Baldini, lo cita come il “mister” e il “babbo”, due mondi paralleli, quello del campo di calcio e della famiglia, che si intrecciano. Il primo comandamento dell’essere genitore: sii sempre coerente. Ed ecco che il roccioso Mattia, taglio da militare e tatuaggi sulle braccia, ha completamente siringato l’essere coerente di suo padre Silvio. È la storia dei figli di allenatori celebri nello staff dei padri. Succede in Europa e anche a Pescara.
Non c’è solo Davide Ancelotti che ha vinto la Champions con il mitico Carlo, o il rampollo di casa Pioli. E potremmo continuare con Prandelli, Pochettino e Maran. Mattia Baldini è il braccio destro di Silvio. La roccia alla quale si aggrappa nei momenti difficili e in quelli di gioia. Mattia, 31 anni, è un tuttofare: tattico, allenatore e match analyst, ma, soprattutto, uomo squadra e trascinatore del gruppo.
Per lei è mister Baldini o papà Silvio?
«In campo il mister, a casa è il mio babbo, ci mancherebbe».
Si sente un raccomandato?
«Sono il figlio di Baldini, ma cerco sempre di togliere l’etichetta che porto addosso. Viviamo, purtroppo, in una società dove il pregiudizio esiste. Io so chi sono e non mi sento un raccomandato».
Le prime volte sul campo da “colleghi” come sono state?
«Belle, perché mio padre tratta i giocatori come dei figli. Non è un modo di dire, davvero cerca di dare insegnamenti. Lui preferisce perdere una partita, ma dare un piccolo insegnamento di vita ai propri calciatori. Il mister Baldini è un tipo fuori dagli schemi».
Che papà è?
«È sempre stato un babbo perfetto. Una persona con principi saldi. Con lui, io e mio fratello Nicolò, abbiamo sempre condiviso la natura, il bosco e la caccia. Da piccoli non andavamo al luna park o al parco giochi, con lui si andava a caccia con i cani o nei boschi a passeggiare guardando l’alba o il tramonto. Ci ha cresciuto con il suo spirito filosofico».
La prima immagine che ha di suo padre allenatore ?
«Ricordo quando ha vinto i campionati, come quello di serie B ad Empoli, nel 2002. Andavo sempre a vedere le partite con mia madre e mio fratello. Quando tornava a casa, però, non ha mai portato il peso del suo lavoro».
È stato un personaggio ingombrante nella sua adolescenza?
«No, perché lui è così come lo vedi: una persona umile e diretta. Con i miei amici è sempre stato conviviale e casa nostra è sempre stata un porto di mare».
Il valore più importante che le ha trasmesso?
«Il rispetto e la famiglia. Per lui la famiglia viene prima di ogni cosa».
Qualche scappellotto lo ha preso da bambino?
«Mai preso uno, da mia madre sì (ride), ma da lui mai. Abbiamo caratteri simili, siamo due leoni che si scontrano, ma abbasso sempre la testa perché porto rispetto a mio padre».
Ci racconti sua madre Paola.
«Una santa (sorride). Lei incarna il concetto di famiglia e ha dato tutto per noi figli e il marito. Mia sorella maggiore, Valentina, è disabile e mia madre le ha dedicato completamente la vita per tenere unita la famiglia. Mia madre in estate non è mai andata in vacanza per esempio a Formentera o in posti dove spesso si vedono le famiglie di calciatori e allenatori. Lei vive per la famiglia».
Un pregio di suo padre a livello lavorativo?
«La leadership».
Il pregio di Mattia?
«Sono una persona leale».
È stato un giocatore, poi?
«Ho fatto 5 anni in serie D e poi in Eccellenza. Mi sono rotto tibia e perone, ho lasciato a 26 anni. Papà, poi, è andato alla Carrarese e mi ha chiesto di aiutarlo come collaboratore e da lì è partita la nuova vita in campo».
È vero che lei inventa gli schemi?
(ride) «Mi sono sempre interessato allo studio dei calci piazzati. Mi piace guardare come lavorano gli altri, tipo Vivarini (ex tecnico di Empoli e Frosinone, ndr), che è molto bravo nel creare gli schemi di gioco».
Maestri o allenatori come fonte di ispirazione?
«Prendo spunto un po’ da tutti. Non mi piace copiare, ma studiare. Mi piace Gasperini come approccio alla partita o Guardiola e De Zerbi che puntano molto sul possesso palla».
Da grande farà l’allenatore?
«L’ambizione c’è, però mi rendo conto che l’allenatore è una persona sola; viene giudicato per il risultato e non per le idee».
Gli studi li ha completati o pensava solo al calcio?
«Diplomato al liceo scientifico, poi mi sono iscritto a Economia, ma non ho dato esami».
Si sente un privilegiato?
«Certo, perché sono partito grazie a mio padre dalla serie C e non dalla Prima categoria».
Hobby?
«La caccia. Amo stare a contatto con la natura».
Lei sparerebbe a un cervo?
«Io vado solo a caccia di uccelli e mi piace la selvaggina migratoria. A un cervo non sparerei mai».
Ha messo su famiglia?
«Ho una compagna, Selene. Abbiamo un bimbo di un anno e mezzo, Brando, e una bimba in arrivo a marzo, che si chiamerà Sveva».
Che tipo è nonno Silvio?
«È molto più affettuoso rispetto a come ha fatto il padre. Babbo è poco avvezzo alla tecnologia e ai social, invece, da quando c’è Brando, ha imparato a fare le videochiamate per vedere suo nipote. Quando siamo a casa è sempre con lui. Lo porta a casa a giocare con i cani e lo vizia tantissimo. Si scioglie quando lo vede, è un bravo nonno».
La sua vita a Pescara?
«Hotel, campo di allenamento e poi di nuovo hotel. Sono uscito a cena fuori forse 5-6 volte. Io e papà viviamo solo per il campo e la cosa non mi pesa».
A giugno sarete in serie B?
«Prima, tra aprile e maggio»
Ambizioso e spavaldo.
(sorride) «Sì, perché abbiamo la fortuna di allenare un gruppo di ragazzi straordinari. Questi giocatori vedono nel loro allenatore il mezzo per realizzare i propri sogni. Qui c’è un gruppo fantastico. La nostra fortuna è stata quella di trovare una società importante, un ds che non ci ha scelto direttamente, perché è arrivato dopo, ma che ha sposato la nostra causa in tutto e per tutto, ha sempre protetto noi e il gruppo di lavoro».
Nel suo lavoro, cosa fa nello specifico?
«In campo lavoro negli allenamenti, per esempio studio i calci piazzati, poi mi occupo di analisi delle partite, dei nostri avversari, degli allenatori avversari e guardo tutte le statistiche. Mi confronto molto con Diego Labricciosa (il match analyst), che ci ha dato un grande aiuto fin dal primo giorno di lavoro».