Ai domiciliari il capo della banda
Avigdor lascia il carcere dopo 24 ore: è malato. Gestiva il traffico di extracomunitari.
PESCARA. Roberto Avigdor è già nella sua casa. È stato in cella 24 ore il presunto capo dell’organizzazione criminale finalizzata all’immigrazione clandestina, sgominata dai carabinieri. Il ragioniere di Sant’Egidio alla Vibrata è ai domiciliari. Questo nonostante i nuovi particolari emersi sullo sfruttamento degli immigrati: alcuni erano pagati con sigarette, altri erano costretti a lavorare sebbene epilettici.
Avigdor è stato scarcerato ieri dopo l’interrogatorio di garanzia. Davanti ai magistrati il principale imputato dell’operazione “Lavoro pulito” ha negato le accuse. Secondo i carabinieri aveva messo su un’organizzazione internazionale capace di far entrare in Italia quasi 1.500 estracomunitari in 3 anni. Gli immigrati pagavano 5 mila euro per un permesso di soggiorno e un posto di lavoro nel nostro paese. In realtà i documenti erano falsi e gli extracomunitari erano costretti a lavorare come schiavi nelle campagne italiane. Un affare da almeno 8 milioni di euro interrotto dalle indagini condotte dal capitano della compagnia di Penne, Massimiliano Di Pietro. Lunedì i carabinieri hanno arrestato Avigdor e altre 90 persone. Sono ancora ricercate 17 persone, mentre gli indagati sono in tutto 156.
LA DIFESA DI AVIGDOR. Il ragioniere teramano, difeso dall’avvocato Claudio Annunzi, ha sostenuto che i contratti di lavoro da lui stipulati erano effettivi e legittimi. Gli eventuali abusi sono a carico degli imprenditori e lui non può rispenderne. Questa tecnica è stata usata da Avigdor anche lo scorso luglio, quando è stato arrestato dalla mobile di Teramo per un’altra operazione legata al racket dei clandestini.
ARRESTI DOMICILIARI. Allora il ragioniere teramano entrò in carcere il 29 luglio e ne uscì sei giorni dopo. Ora in cella ha trascorso poco più di 24 ore. Al termine dell’interrogatorio il suo avvocato ha chiesto l’applicazione degli arresti domiciliari per motivi di salute. L’uomo è stato vittima di un ictus tre anni fa e per questo non può stare in carcere. Così il gip Guido Campli ha concesso ad Avigdor i domiciliari nella sua casa di Sant’Egidio alla Vibrata.
LO SFRUTTAMENTO. Avigdor è agli arresti domiciliari nonostante le pesanti accuse cui deve rispondere. Sarebbe il capo di un’organizzazione con ramificazioni in Tunisia, Bangladesh, Cina, Albania, Marocco, Sri Lanka e Algeria. Qui gli immigrati pagavano 5 mila euro per un permesso di soggiorno ottenuto grazie alla complicità in Italia di dipendenti di alcune associazioni di categoria, che risultano del tutto estranee ai fatti. Un documento falso, come falsa era la promessa di un lavoro pagato e retribuito. Gli extracomunitari facevano i braccianti nelle campagne, dove erano sfruttati fino allo sfinimento.
SIGARETTE COME PAGA. Gli sfruttatori facevano pagare agli immigrati l’affitto, anche se li facevano dormire in un materasso sul pavimento di un capannone. Gli extracomunitari portati in Italia da Avigdor dovevano pagarsi il vitto e anche il trasporto nel luogo di lavoro. Dopo 12 o più ore di lavoro estenuante nei campi, in cui erano costretti a raccogliere 50-60 cassette di prodotto, venivano pagati con 2 o 3 euro. In alcuni casi agli immigrati non veniva dato neanche un soldo, ma venivano retribuiti con dei pacchetti di sigarette. Questo aveva ripercussioni anche sulla criminalità comune. Alcuni, spinti dalla fame, rubavano cibo nei negozi di generi alimentari. Altri immigrati sfruttavano a loro volta l’organizzazione di Avigdor. Entravano in Italia grazie al permesso falso, ma non finivano a fare gli schiavi nei campi. Raggiungevano parenti e conoscenti in altre regioni dove andavano a ingrossare le fila dei lavoratori clandestini.
MALATI AL LAVORO. Ad accanirsi contro gli immigrati erano in particolare dei capisquadra che facevano da referenti per l’organizzazione nelle campagne. Sembra che alcuni di loro si comportassero come dei veri e propri aguzzini. Non c’era pietà per nessuno: alcuni lavoratori malati di epilessia sono stati costretti a lavorare sino al limite della crisi. La febbre non era sufficiente per scamparsi una giornata di lavoro sotto il sole o la pioggia. Il tutto nella totale indifferenza di alcuni imprenditori agricoli che chiudevano gli occhi allettati da facili guadagni. Avevano trovato il modo per avere manodopera a costo zero, e davanti al Dio denaro tutto è ammesso.
Avigdor è stato scarcerato ieri dopo l’interrogatorio di garanzia. Davanti ai magistrati il principale imputato dell’operazione “Lavoro pulito” ha negato le accuse. Secondo i carabinieri aveva messo su un’organizzazione internazionale capace di far entrare in Italia quasi 1.500 estracomunitari in 3 anni. Gli immigrati pagavano 5 mila euro per un permesso di soggiorno e un posto di lavoro nel nostro paese. In realtà i documenti erano falsi e gli extracomunitari erano costretti a lavorare come schiavi nelle campagne italiane. Un affare da almeno 8 milioni di euro interrotto dalle indagini condotte dal capitano della compagnia di Penne, Massimiliano Di Pietro. Lunedì i carabinieri hanno arrestato Avigdor e altre 90 persone. Sono ancora ricercate 17 persone, mentre gli indagati sono in tutto 156.
LA DIFESA DI AVIGDOR. Il ragioniere teramano, difeso dall’avvocato Claudio Annunzi, ha sostenuto che i contratti di lavoro da lui stipulati erano effettivi e legittimi. Gli eventuali abusi sono a carico degli imprenditori e lui non può rispenderne. Questa tecnica è stata usata da Avigdor anche lo scorso luglio, quando è stato arrestato dalla mobile di Teramo per un’altra operazione legata al racket dei clandestini.
ARRESTI DOMICILIARI. Allora il ragioniere teramano entrò in carcere il 29 luglio e ne uscì sei giorni dopo. Ora in cella ha trascorso poco più di 24 ore. Al termine dell’interrogatorio il suo avvocato ha chiesto l’applicazione degli arresti domiciliari per motivi di salute. L’uomo è stato vittima di un ictus tre anni fa e per questo non può stare in carcere. Così il gip Guido Campli ha concesso ad Avigdor i domiciliari nella sua casa di Sant’Egidio alla Vibrata.
LO SFRUTTAMENTO. Avigdor è agli arresti domiciliari nonostante le pesanti accuse cui deve rispondere. Sarebbe il capo di un’organizzazione con ramificazioni in Tunisia, Bangladesh, Cina, Albania, Marocco, Sri Lanka e Algeria. Qui gli immigrati pagavano 5 mila euro per un permesso di soggiorno ottenuto grazie alla complicità in Italia di dipendenti di alcune associazioni di categoria, che risultano del tutto estranee ai fatti. Un documento falso, come falsa era la promessa di un lavoro pagato e retribuito. Gli extracomunitari facevano i braccianti nelle campagne, dove erano sfruttati fino allo sfinimento.
SIGARETTE COME PAGA. Gli sfruttatori facevano pagare agli immigrati l’affitto, anche se li facevano dormire in un materasso sul pavimento di un capannone. Gli extracomunitari portati in Italia da Avigdor dovevano pagarsi il vitto e anche il trasporto nel luogo di lavoro. Dopo 12 o più ore di lavoro estenuante nei campi, in cui erano costretti a raccogliere 50-60 cassette di prodotto, venivano pagati con 2 o 3 euro. In alcuni casi agli immigrati non veniva dato neanche un soldo, ma venivano retribuiti con dei pacchetti di sigarette. Questo aveva ripercussioni anche sulla criminalità comune. Alcuni, spinti dalla fame, rubavano cibo nei negozi di generi alimentari. Altri immigrati sfruttavano a loro volta l’organizzazione di Avigdor. Entravano in Italia grazie al permesso falso, ma non finivano a fare gli schiavi nei campi. Raggiungevano parenti e conoscenti in altre regioni dove andavano a ingrossare le fila dei lavoratori clandestini.
MALATI AL LAVORO. Ad accanirsi contro gli immigrati erano in particolare dei capisquadra che facevano da referenti per l’organizzazione nelle campagne. Sembra che alcuni di loro si comportassero come dei veri e propri aguzzini. Non c’era pietà per nessuno: alcuni lavoratori malati di epilessia sono stati costretti a lavorare sino al limite della crisi. La febbre non era sufficiente per scamparsi una giornata di lavoro sotto il sole o la pioggia. Il tutto nella totale indifferenza di alcuni imprenditori agricoli che chiudevano gli occhi allettati da facili guadagni. Avevano trovato il modo per avere manodopera a costo zero, e davanti al Dio denaro tutto è ammesso.