Battestini: «Non li rinnego più Oggi dico grazie ai miei fratelli»
In un libro a fumetti autobiografico, Roberto racconta l’altra faccia della storia criminale di Rolando e Pasquale, 14 e 19 anni più grandi di lui: la sofferenza di allora oggi mi ha salvato
PESCARA. «Avevo nove anni quando scoprii la verità. Me lo disse un compagno di scuola, alle Domus Mariae. Mi disse questo è tuo fratello. E mi indicò un personaggio dietro alle sbarre». Era la prima metà degli anni Settanta, era la banda Battestini messa su dai fratelli Pasquale e Rolando Battestini, rapinatori figli della borghesia pescarese. Quel bambino era Roberto, il più piccolo di quei fratelli: 19 anni meno di Pasquale e 14 meno di Rolando. Roberto, è lui stesso a raccontarlo, entrò così, impreparato e tradito, in quella storia criminale capace di riemergere ancora oggi dalle cronache. «Per tanti anni, ogni volta che sentivo nominare il mio cognome avevo un sussulto interiore, un rimando a cose passate che volevo solo cancellare».
Parte da qui il lungo percorso che oggi ha portato Roberto Battestini, 52 anni, sposato e padre di otto figli, catechista nella comunità neocatecumenale della parrocchia di Sant’Antonio e insegnante al liceo artistico Misticoni a dare un senso a quella storia e a raccontarla, con l’arma della sua arte, il fumetto, in un libro autobiografico. Una storia di redenzione, dedicata «a tutti coloro che non riescono ad accettare la propria storia. A chi vive esistenze opache e piene di sofferenza pur di sottrarsi alle proprie radici, alla propria identità». Il titolo del libro è “A caro sangue”: 288 pagine edite dalla casa editrice 001 di Torino. Battestini ci ha lavorato per tre anni mettendoci dentro Pescara, la sua infanzia, i genitori e le scorribande criminali di quel gruppo capace di collezionare, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta 114 rapine, due omicidi e un’evasione armata dal carcere di San Donato. E poi, soprattutto, ci ha messo dentro i suoi fratelli. «Due ragazzi morti giovani e male». Pasquale ucciso a Giulianova nel 1988 mentre tentava di forzare un posto di blocco, Rolando quattro anni dopo nel carcere di Campobasso.
Battestini, che ricordo ha dei suoi fratelli?
Ricordo Rolando, più vicino a me rispetto a Pasquale da cui ci separavano 19 anni. È il ricordo di un ragazzo molto intelligente, molto capace che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa ma ha scelto la strada della perdizione.
Come ci è arrivato?
Secondo me è stato trascinato dal maggiore, Pasquale, un ribelle di fondo.
Ma com’è stato possibile, che famiglia era la sua?
Mamma informatore medico-scientifico, papà segretario nell’intendenza di finanza. Penso che un influsso potente, alla strada che hanno preso i miei fratelli, sia arrivato dall’Italia di quegli anni Settanta, con la grandissima crisi della figura paterna e l’indipendenza della figura materna. C’è stato uno scavallamento dei ruoli nelle famiglie che non erano preparate, come se i figli avessero perso le guide. Nel caso della mia, credo che una parte l’abbia svolta la ribellione alla figura di mio padre, persona molto chiusa.
Nel libro c’è anche lui.
Sì, il libro inizia nel 2008 a Scafa, dove insegnavo in una scuola primaria, quando iniziai a sistematizzare l’idea di fare un fumetto sulla mia storia. Ci sono tantissimi momenti in cui parlo con mio padre, riesco a farmi dire qualcosa di quello che era successo con la narrazione che va avanti e indietro, dagli anni ’60 al 2012. Ho voluto fare quello che dovrebbe fare ogni persona: guardare le proprie radici e accettare la propria storia alla luce di un discorso di fede. Soprattutto di fede, perché alla fine il libro è questo, a “caro sangue” è il sangue dei miei fratelli, la croce che attraverso la loro e la mia sofferenza è diventata salvezza per me. Perché è vero che sono stati dei carnefici, ma loro sono anche delle vittime.
Vittime di che cosa?
Di loro stessi. Vittime inconsapevoli di qualcosa che alla fine ha però portato alla salvezza me e le persone collegate a me. Accettare e capire la croce che prima negavo, di cui mi vergognavo, mi ha fatto ritrovare un’identità che disprezzavo, che associavo al male, a una cosa negativa. Nel 2009 avevo fatto un lavoro in bianco e nero, “Fratelli” dove raccontavo la mia storia mettendomi però dalla parte opposta dei miei fratelli. Oggi, in questo libro, dove torno al fumetto puro con una narrazione cinematografica, metto in discussione la mia fuga, il mio rifiuto. Ed è un discorso che può valere anche per situazioni meno eclatanti: è sempre necessario prendere in mano la propria storia e accettarla, trasformandola in un progetto di vita. Non bisogna mai tagliare le radici. Quando lo fai, hai un approccio con gli altri superficiale, di scarsa identità. Di questo parla il libro, del recupero dell’identità.
Come ha recuperato la sua?
Con la fede. Nelle Scritture si trovano tutte le risposte.
Cosa rappresenta questo libro per lei?
È qualcosa con cui finalmente mi posso presentare: ecco, io sono questo. Per tanto tempo ho desiderato di essere una persona normale, senza niente che mi caratterizzasse. La mia domanda era, perché sono nato? Sono arrivato tanti anni dopo i miei fratelli, pensavo di essere uno sbaglio, mi sentivo entrato in un film già iniziato. Ho faticato a trovare la trama, ma a un certo punto l’ho trovata. Doveva essere una vita a margine la mia, forse mi sarei anche realizzato in un altro posto lontano da Pescara, dov’ero andato da ragazzino in collegio, ma mi sarei ritrovato sempre con le stesse pive nel sacco. In questo libro metto in discussione me stesso, la mia fuga. Sono uscito dal ruolo di figlio ferito posso vivere al cento per cento la mia esistenza.
Che effetto le fa quando si nomina la banda Battestini?
Prima ogni volta avevo un sussulto interiore. Oggi capisco che l’informazione ha i suoi canali, e comunque anche io ho i miei canali e posso dare la mia versione. L’importante è che la ferita è rimarginata e non sanguina più. Oggi so che i miei fratelli sono stati due ragazzi morti giovani come giovani erano quando hanno avuto i primi problemi e si sono scontrati con un’istituzione che li ha giustamente, e dico giustamente, cercato di reprimere. Ma a volte per un errore si rischia di pagare tutta la vita e i giovani sono la parte più fragile. Per questo mi piace fare il padrino del post cresima a Fontanelle, mi permette di accompagnare i giovani nei loro percorsi.
Suo fratello Rolando ha ucciso una persona. Anche quello è “a caro sangue”.
Sì, certo. Nel libro l’episodio è citato ed è legato a una confessione che fece mio fratello in una lettera. Uso le sue stesse parole, le descrivo graficamente
Che cosa scriveva?
Che era obnubilato, sotto l’effetto di sostanze, e che sarebbe voluto tornare indietro. Ma è importante la consapevolezza che le azioni portano delle conseguenze. Non doveva accadere. Io sono il fratello di Rolando, non sono responsabile di quello che ha fatto mio fratello, ma mi rendo conto che ha fatto un male enorme a cui non c’è possibilità di riparazione. L’unica cosa che può avere senso è trasformare in qualcosa di costruttivo anche un evento come la morte.
C’è stata una fase in cui la sua famiglia è stata normale?
Penso che la normalità non ci sia mai stata, forse fino ai miei tre anni, ma non ricordo. I miei fratelli, soprattutto Pasquale, non l’ho praticamente conosciuto, entrava e usciva dal carcere. Ci parlai quando uscì in congedo poco prima di morire, avevo una ventina d’anni. Fu una forma di chiarimento reciproco.
I suoi genitori hanno letto il libro?
Mia madre. Papà è morto nel 2015.
Che le ha detto sua madre?
Compie 90 anni a marzo, ha letto il libro tutto d’un fiato dopo la presentazione, fino alle tre di notte, con la lente di ingrandimento. La mattina dopo mi ha detto “mi sono svegliata felice”. E oggi so chi era il destinatario di questo libro, mia madre e tutte le persone che vivono una situazione di sofferenza e non senso, che hanno bisogno di un perché.
Parte da qui il lungo percorso che oggi ha portato Roberto Battestini, 52 anni, sposato e padre di otto figli, catechista nella comunità neocatecumenale della parrocchia di Sant’Antonio e insegnante al liceo artistico Misticoni a dare un senso a quella storia e a raccontarla, con l’arma della sua arte, il fumetto, in un libro autobiografico. Una storia di redenzione, dedicata «a tutti coloro che non riescono ad accettare la propria storia. A chi vive esistenze opache e piene di sofferenza pur di sottrarsi alle proprie radici, alla propria identità». Il titolo del libro è “A caro sangue”: 288 pagine edite dalla casa editrice 001 di Torino. Battestini ci ha lavorato per tre anni mettendoci dentro Pescara, la sua infanzia, i genitori e le scorribande criminali di quel gruppo capace di collezionare, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta 114 rapine, due omicidi e un’evasione armata dal carcere di San Donato. E poi, soprattutto, ci ha messo dentro i suoi fratelli. «Due ragazzi morti giovani e male». Pasquale ucciso a Giulianova nel 1988 mentre tentava di forzare un posto di blocco, Rolando quattro anni dopo nel carcere di Campobasso.
Battestini, che ricordo ha dei suoi fratelli?
Ricordo Rolando, più vicino a me rispetto a Pasquale da cui ci separavano 19 anni. È il ricordo di un ragazzo molto intelligente, molto capace che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa ma ha scelto la strada della perdizione.
Come ci è arrivato?
Secondo me è stato trascinato dal maggiore, Pasquale, un ribelle di fondo.
Ma com’è stato possibile, che famiglia era la sua?
Mamma informatore medico-scientifico, papà segretario nell’intendenza di finanza. Penso che un influsso potente, alla strada che hanno preso i miei fratelli, sia arrivato dall’Italia di quegli anni Settanta, con la grandissima crisi della figura paterna e l’indipendenza della figura materna. C’è stato uno scavallamento dei ruoli nelle famiglie che non erano preparate, come se i figli avessero perso le guide. Nel caso della mia, credo che una parte l’abbia svolta la ribellione alla figura di mio padre, persona molto chiusa.
Nel libro c’è anche lui.
Sì, il libro inizia nel 2008 a Scafa, dove insegnavo in una scuola primaria, quando iniziai a sistematizzare l’idea di fare un fumetto sulla mia storia. Ci sono tantissimi momenti in cui parlo con mio padre, riesco a farmi dire qualcosa di quello che era successo con la narrazione che va avanti e indietro, dagli anni ’60 al 2012. Ho voluto fare quello che dovrebbe fare ogni persona: guardare le proprie radici e accettare la propria storia alla luce di un discorso di fede. Soprattutto di fede, perché alla fine il libro è questo, a “caro sangue” è il sangue dei miei fratelli, la croce che attraverso la loro e la mia sofferenza è diventata salvezza per me. Perché è vero che sono stati dei carnefici, ma loro sono anche delle vittime.
Vittime di che cosa?
Di loro stessi. Vittime inconsapevoli di qualcosa che alla fine ha però portato alla salvezza me e le persone collegate a me. Accettare e capire la croce che prima negavo, di cui mi vergognavo, mi ha fatto ritrovare un’identità che disprezzavo, che associavo al male, a una cosa negativa. Nel 2009 avevo fatto un lavoro in bianco e nero, “Fratelli” dove raccontavo la mia storia mettendomi però dalla parte opposta dei miei fratelli. Oggi, in questo libro, dove torno al fumetto puro con una narrazione cinematografica, metto in discussione la mia fuga, il mio rifiuto. Ed è un discorso che può valere anche per situazioni meno eclatanti: è sempre necessario prendere in mano la propria storia e accettarla, trasformandola in un progetto di vita. Non bisogna mai tagliare le radici. Quando lo fai, hai un approccio con gli altri superficiale, di scarsa identità. Di questo parla il libro, del recupero dell’identità.
Come ha recuperato la sua?
Con la fede. Nelle Scritture si trovano tutte le risposte.
Cosa rappresenta questo libro per lei?
È qualcosa con cui finalmente mi posso presentare: ecco, io sono questo. Per tanto tempo ho desiderato di essere una persona normale, senza niente che mi caratterizzasse. La mia domanda era, perché sono nato? Sono arrivato tanti anni dopo i miei fratelli, pensavo di essere uno sbaglio, mi sentivo entrato in un film già iniziato. Ho faticato a trovare la trama, ma a un certo punto l’ho trovata. Doveva essere una vita a margine la mia, forse mi sarei anche realizzato in un altro posto lontano da Pescara, dov’ero andato da ragazzino in collegio, ma mi sarei ritrovato sempre con le stesse pive nel sacco. In questo libro metto in discussione me stesso, la mia fuga. Sono uscito dal ruolo di figlio ferito posso vivere al cento per cento la mia esistenza.
Che effetto le fa quando si nomina la banda Battestini?
Prima ogni volta avevo un sussulto interiore. Oggi capisco che l’informazione ha i suoi canali, e comunque anche io ho i miei canali e posso dare la mia versione. L’importante è che la ferita è rimarginata e non sanguina più. Oggi so che i miei fratelli sono stati due ragazzi morti giovani come giovani erano quando hanno avuto i primi problemi e si sono scontrati con un’istituzione che li ha giustamente, e dico giustamente, cercato di reprimere. Ma a volte per un errore si rischia di pagare tutta la vita e i giovani sono la parte più fragile. Per questo mi piace fare il padrino del post cresima a Fontanelle, mi permette di accompagnare i giovani nei loro percorsi.
Suo fratello Rolando ha ucciso una persona. Anche quello è “a caro sangue”.
Sì, certo. Nel libro l’episodio è citato ed è legato a una confessione che fece mio fratello in una lettera. Uso le sue stesse parole, le descrivo graficamente
Che cosa scriveva?
Che era obnubilato, sotto l’effetto di sostanze, e che sarebbe voluto tornare indietro. Ma è importante la consapevolezza che le azioni portano delle conseguenze. Non doveva accadere. Io sono il fratello di Rolando, non sono responsabile di quello che ha fatto mio fratello, ma mi rendo conto che ha fatto un male enorme a cui non c’è possibilità di riparazione. L’unica cosa che può avere senso è trasformare in qualcosa di costruttivo anche un evento come la morte.
C’è stata una fase in cui la sua famiglia è stata normale?
Penso che la normalità non ci sia mai stata, forse fino ai miei tre anni, ma non ricordo. I miei fratelli, soprattutto Pasquale, non l’ho praticamente conosciuto, entrava e usciva dal carcere. Ci parlai quando uscì in congedo poco prima di morire, avevo una ventina d’anni. Fu una forma di chiarimento reciproco.
I suoi genitori hanno letto il libro?
Mia madre. Papà è morto nel 2015.
Che le ha detto sua madre?
Compie 90 anni a marzo, ha letto il libro tutto d’un fiato dopo la presentazione, fino alle tre di notte, con la lente di ingrandimento. La mattina dopo mi ha detto “mi sono svegliata felice”. E oggi so chi era il destinatario di questo libro, mia madre e tutte le persone che vivono una situazione di sofferenza e non senso, che hanno bisogno di un perché.