I soccorritori: salviamo vite ma riceviamo solo insulti
Il “Centro” ha trascorso una giornata al fianco degli operatori dell’ospedale Turni da 6 a 12 ore, interventi sul posto in sette minuti: sempre sotto pressione
PESCARA. «Quando arriva la chiamata di soccorso passiamo, in una frazione di secondo, da un momento di calma piatta a un’accelerazione pazzesca dei ritmi. Nell'arco della giornata, con turni da 6 a 12 ore per una decina di uscite a turno, non abbiamo il tempo neppure di respirare. Abbiamo a che fare con gente violenta, pensionati in preda alla disidratazione che dobbiamo raggiungere ai piani alti di palazzi senza ascensore, i tossici, i tanti malori in spiaggia. Ma chi si accorge delle nostre fatiche quotidiane e del nostro vivere perennemente sotto pressione?». Benvenuti al pronto soccorso, tra i sanitari e i volontari, che sfidano l’inferno con la forza dell’abnegazione.
il Centro si è mischiato a loro per una mattinata, per documentare de visu come lavorano e che cosa devono sopportare, questi angeli del soccorso. Salvano vite umane ogni giorno «ma veniamo continuamente insultati dai pazienti o dai loro familiari perché è vero che siamo sempre pochi», lamenta un’infermiera, «ma attentissimi alle esigenze di tutti i pazienti con tutte le loro patologie» .
«I cittadini», incalza Augusto D'Ortenzio, operatore del 118 da 23 anni, pescarese, «dovrebbero fidarsi, senza interferire, dei professionisti addestrati al soccorso. Noi viviamo continuamente sospesi tra uno stato di calma piatta e all'improvviso, quando arriva una chiamata, abbiamo un’accelerazione pazzesca dei tempi. Montiamo sull'ambulanza, a sirene spiegate (anche questo ci causa stress) e sfrecciamo nel traffico perché in 7 minuti, questi i tempi previsti, dobbiamo raggiungere il luogo. E dalla chiamata all'arrivo, tutto viene registrato dalle centrali operative. In pochi attimi dobbiamo valutare la condizione del paziente, se è cosciente o no e decidere la terapia, compito che spetta al medico di bordo, dopo aver controllato i parametri vitali fondamentali: pressione sanguigna, glicemia, battito del cuore, ossigenazione».
Alessia Sponsilli, 26 anni, di Pescara, volontaria della Croce Rossa, tenta di fare una pausa. «Ma non ci riesco quasi mai: facciamo una decina di uscite per ogni turno e ogni turno dura dalle 6 alle 12 ore al giorno. Per stare dentro le ambulanze abbiamo studiato come un infermiere, sappiamo usare benissimo i defibrillatori. Se ho paura durante gli interventi? No, applico quello che ho studiato, cerchiamo di rassicurare i pazienti durante il soccorso. Quando sono molto gravi allertiamo i medici del 118, se sono violenti contattiamo le forze dell'ordine. Oltre a salire ai piani alti senza ascensori, talvolta abbiamo a che fare con gente aggressiva e armata».
La pausa è finita. C'è da correre allo stabilimento Miramare a prelevare una ragazza punta da un ragnolo. Venti minuti dopo è lei stessa, Silvia D'Ottavio, 38 anni, docente di Scienze umane al Marconi, a raccontare: «Ero in acqua, immersa fino al collo. A un certo punto, ho avvertito una pizzicata fortissima sotto l'alluce. Mi si è paralizzata la gamba, non riuscivo a muovermi, mi ha portato in salvo il bagnino Samuele che ringrazio tanto. Il dolore era insopportabile, sono svenuta. Ho avuto paura anche perché sono allergica ai crostacei». I sanitari spiegano come si affronta la puntura di ragnolo: «Infilando i piedi nella sabbia bollente o dentro l'acqua calda».
Intanto, Maria Grazia O., tecnico radiologo, esamina una centenaria con varie patologie. Domenico, infermiere lombardo, è di servizio all'accoglienza e triage: «Il mio compito, oggi, è dare priorità all'assistenza all'utenza e assegnare i codici bianchi, gialli, rossi e verdi. Ed è una grande responsabilità perché dobbiamo sempre considerare i rischi evolutivi. I codici assegnati, infatti, possono trasformarsi anche nel giro di pochi minuti, se il paziente si aggrava. Per questa ragione le persone vengono continuamente monitorate durante l'attesa e ciò significa altro stress per noi». Utenti e familiari arrivano e vanno via anche in taxi. Qualcuno scambia il pronto soccorso come uno sportello informativo: «Scusate, dove si trova la clinica?».
il Centro si è mischiato a loro per una mattinata, per documentare de visu come lavorano e che cosa devono sopportare, questi angeli del soccorso. Salvano vite umane ogni giorno «ma veniamo continuamente insultati dai pazienti o dai loro familiari perché è vero che siamo sempre pochi», lamenta un’infermiera, «ma attentissimi alle esigenze di tutti i pazienti con tutte le loro patologie» .
«I cittadini», incalza Augusto D'Ortenzio, operatore del 118 da 23 anni, pescarese, «dovrebbero fidarsi, senza interferire, dei professionisti addestrati al soccorso. Noi viviamo continuamente sospesi tra uno stato di calma piatta e all'improvviso, quando arriva una chiamata, abbiamo un’accelerazione pazzesca dei tempi. Montiamo sull'ambulanza, a sirene spiegate (anche questo ci causa stress) e sfrecciamo nel traffico perché in 7 minuti, questi i tempi previsti, dobbiamo raggiungere il luogo. E dalla chiamata all'arrivo, tutto viene registrato dalle centrali operative. In pochi attimi dobbiamo valutare la condizione del paziente, se è cosciente o no e decidere la terapia, compito che spetta al medico di bordo, dopo aver controllato i parametri vitali fondamentali: pressione sanguigna, glicemia, battito del cuore, ossigenazione».
Alessia Sponsilli, 26 anni, di Pescara, volontaria della Croce Rossa, tenta di fare una pausa. «Ma non ci riesco quasi mai: facciamo una decina di uscite per ogni turno e ogni turno dura dalle 6 alle 12 ore al giorno. Per stare dentro le ambulanze abbiamo studiato come un infermiere, sappiamo usare benissimo i defibrillatori. Se ho paura durante gli interventi? No, applico quello che ho studiato, cerchiamo di rassicurare i pazienti durante il soccorso. Quando sono molto gravi allertiamo i medici del 118, se sono violenti contattiamo le forze dell'ordine. Oltre a salire ai piani alti senza ascensori, talvolta abbiamo a che fare con gente aggressiva e armata».
La pausa è finita. C'è da correre allo stabilimento Miramare a prelevare una ragazza punta da un ragnolo. Venti minuti dopo è lei stessa, Silvia D'Ottavio, 38 anni, docente di Scienze umane al Marconi, a raccontare: «Ero in acqua, immersa fino al collo. A un certo punto, ho avvertito una pizzicata fortissima sotto l'alluce. Mi si è paralizzata la gamba, non riuscivo a muovermi, mi ha portato in salvo il bagnino Samuele che ringrazio tanto. Il dolore era insopportabile, sono svenuta. Ho avuto paura anche perché sono allergica ai crostacei». I sanitari spiegano come si affronta la puntura di ragnolo: «Infilando i piedi nella sabbia bollente o dentro l'acqua calda».
Intanto, Maria Grazia O., tecnico radiologo, esamina una centenaria con varie patologie. Domenico, infermiere lombardo, è di servizio all'accoglienza e triage: «Il mio compito, oggi, è dare priorità all'assistenza all'utenza e assegnare i codici bianchi, gialli, rossi e verdi. Ed è una grande responsabilità perché dobbiamo sempre considerare i rischi evolutivi. I codici assegnati, infatti, possono trasformarsi anche nel giro di pochi minuti, se il paziente si aggrava. Per questa ragione le persone vengono continuamente monitorate durante l'attesa e ciò significa altro stress per noi». Utenti e familiari arrivano e vanno via anche in taxi. Qualcuno scambia il pronto soccorso come uno sportello informativo: «Scusate, dove si trova la clinica?».