Il primo bilancio dell’Arta: 27 casi di febbre da zanzara
Le infezioni da Dengue e West Nile collegate anche ai cambiamenti climatici L’esperta dello Zooprofilattico avverte: nessuna è importata da altri Paesi
L’AQUILA. Ventuno casi di infezione da Dengue e sei da West Nile in Abruzzo. Sono questi i dati aggiornati sul quadro epidemiologico delle Arbovirosi, malattie virali trasmesse da artropodi come zanzare e zecche, diffusi due giorni fa nel corso dell’evento organizzato dall’Agenzia regionale per la tutela dell’ambiente (Arta) e rivolto al personale sanitario abruzzese dal titolo "Comunicazione e formazione su tematiche relative all’interconnessione ambiente-salute".
Il corso di formazione, che ha visto avvicendarsi docenti delle università abruzzesi specializzati in materie veterinarie e mediche, ha affrontato tematiche di grande attualità tra cui, oltre alla sorveglianza sanitaria dei virus West Nile e Dengue, la diffusione di infezioni e infestazioni zoonosiche (trasmesse tra animali ed esseri umani), in relazione ai cambiamenti climatici e ai mutamenti dell’epidemiologia degli artropodi vettori.
«Tutti i casi finora segnalati – ha spiegato Daniela Morelli, responsabile del Centro di Referenza Nazionale per le malattie esotiche degli animali (Cesme), dell'Istituto Zooprofilattico di Teramo – sono autoctoni, ovvero riscontrati in persone che non hanno lasciato il Paese nei 15 giorni precedenti l’esordio dei sintomi. Ciononostante – continua Morelli - le misure di protezione personale, unitamente alle misure di controllo dei vettori in tutta la regione, all’individuazione precoce dei casi e all'attuazione di misure preventive da parte dei cittadini per evitare il ristagno di acqua e la proliferazione e circolazione delle zanzare, sono stati in grado di favorire una riduzione del rischio di trasmissione del virus all’uomo e di tutelare la salute pubblica. Nodo cruciale – ha concluso la ricercatrice – saranno ovviamente le ricadute ambientali dei cambiamenti climatici, come l’aumento di temperature, l’umidità relativa e le precipitazioni intense alternate a periodi di siccità».
E di cambiamenti climatici ha parlato Giorgio Vignola, professore in Zootecnia speciale presso il dipartimento di Medicina veterinaria dell'Università degli studi di Teramo, che ha fatto il punto sull’attuale contesto, stimolando una riflessione sulle possibili scelte individuali per il futuro.
«Nello specifico – ha spiegato il professor Vignola - è stata dimostrata l'importanza delle scelte alimentari nei comportamenti individuali per ridurre l'impronta ecologica e le emissioni di Anidride carbonica equivalente. I prodotti di origine animale rispetto a quelli vegetali – ha continuato il docente - determinano un maggiore impatto ambientale, ma la valutazione deve tenere conto anche delle specie e dei sistemi di allevamento. Le ricerche recenti mostrano che carni e i derivati dei ruminanti (bovini e ovicaprini) causano un impatto maggiore, principalmente a causa delle emissioni di metano, rispetto ai prodotti provenienti dai monogastrici (suini e pollame). Tuttavia, l'efficienza degli allevamenti e le tecnologie più avanzate, come quelle dell'agricoltura 4.0, possono ridurre significativamente le emissioni, permettendo un consumo più sostenibile di questi prodotti. In questo contesto – ha concluso Vignola - la dieta mediterranea emerge come modello alimentare che può contribuire in modo significativo alla mitigazione delle emissioni di gas serra, poiché bilancia l'uso di prodotti animali e vegetali, promuovendo un approccio consapevole e sostenibile alla nutrizione».
Di nutrizione e dieta mediterranea, infine, ha parlato anche Mauro Serafini, professore ordinario di Scienze Tecniche e Dietetiche applicate presso l’Università degli studi di Teramo, che ha tracciato un filo rosso tra cambiamenti climatici, alimentazione, dieta mediterranea e longevità degli abruzzesi, sottolineando come questi elementi siano strettamente interconnessi. Il docente ha evidenziato, infatti, in uno studio pubblicato di recente, come «le abitudini alimentari di chi raggiunge i 90-100 anni siano in armonia con i ritmi naturali del corpo, con una colazione abbondante, un pranzo principale e una cena precoce. Questo schema alimentare con una finestra di 17 ore tra cena e pranzo – ha concluso il professor Serafini - ottimizza il metabolismo e riduce lo stress». (u.c.)
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