L’archistar Piano: il mio cubo uno Stradivari per L’Aquila

Il progettista visita il cantiere dell’auditorium di legno nel parco del Castello Apertura il 7 ottobre con il concerto del maestro Abbado e l’orchestra Mozart

L’AQUILA. «Stavolta ho fatto il liutaio: il mio cubo di legno di abete della Val di Fiemme usato per gli Stradivari è un omaggio all’Aquila capitale della musica». L’archistar Renzo Piano indossa il caschetto da lavoro mentre osserva da vicino il cantiere dell’auditorium da 250 posti al parco del Castello, da lui disegnato. E finanziato dalla Provincia autonoma di Trento con 6 milioni. Inaugurazione il 7 ottobre con l’orchestra Mozart e Claudio Abbado.

Come ha ritrovato L’Aquila a tre anni dal sisma?

«Mi sono commosso: l’ultima volta qui intorno era tutto chiuso, transennato. In piazza Regina Margherita ho trovato una festa. Era pieno di giovani. Qui non si avvertono i segni di una città distrutta, semmai si respira grande partecipazione di vita in una città ferita e sofferente. Passeggiando per il Corso mi sono reso conto di quanta gente abbia ripreso a frequentarlo. Lo trovo splendido. Anche se intorno c’è un vuoto da riempire, da ricostruire».

Perché un auditorium provvisorio?

«Ho pensato l’opera come effimera, non definitiva. Nasce per sostituire l’auditorium del Forte Spagnolo dove sono partiti i restauri. Quando saranno completati, l’opera avrà finito la sua funzione. Non ruberà la vita al Castello. La priorità è recuperare L’Aquila, la città storica, ma non escludo che, se dovesse piacere questo nuovo auditorium, potrebbe restare qui: è la città che deve deciderlo. L’opera è un modesto contributo per riportare più attività possibili in questo luogo che è l’inizio del corso, da qui si entra nella città».

Come ricostruire senza sfrattare chi nel frattempo è rientrato?

«Concentrare gli sforzi sulla ricostruzione della città storica vuol dire avvalersi di sistemi costruttivi e interventi di restauro che non siano troppo pesanti e che non implichino un secondo allontanamento dei cittadini. Nel 1980 come ambasciatore Unesco, feci un progetto pilota a Otranto: per ricostruire senza cacciar via la gente serve una pianificazione più attenta, una diagnostica intelligente non distruttiva. Insomma, un approccio diverso. Da qui la vita se n’è andata perché non c’era altra scelta nell’immediato. Ma se si organizzano bene i cantieri non servirà sgomberare di nuovo tutto quanto».

Com’era, dov’era?

«Si sa benissimo, il vecchio si divide in vecchio che ha valore storico e vecchio che non ne ha. L’Aquila è ricchissima di monumenti che bisogna restaurare. Non c’è da fare stranezze, la carta di Gubbio parla chiaro. E l’Italia è un paese che conosce la tecnica del restauro. Recuperare gli edifici storici, sì, ma fare anche select demolition, l’abbattimento selettivo necessario e inevitabile, in alcuni casi, dell’edilizia più povera mal costruita. Demolizione e ricostruzione. Il Corso dell’Aquila, tranne rari esempi, è fatto solo di monumenti storici. Questa è una delle 100 capitali del nostro meraviglioso Paese».

Come giudica il non fatto in 3 anni di post-sisma?

«Si doveva fare molto di più. La città è giustamente esasperata. Paga la mancanza di un disegno politico-culturale. Paga scelte che non condivido, e lo dico da progettista: bisognava intervenire diversamente e privilegiare il centro storico».

Il cubo è la risposta al Ponte del Mare di Pescara?

«Conosco poco le altre città abruzzesi. Conoscevo abbastanza L’Aquila pre-sisma. Questa è la città più musicale d’Italia, ricca di istituzioni. Per questo Abbado mi chiese come amico se si poteva fare qualcosa. Da qui l’idea della cassa armonica, nata un mese e mezzo dopo il sisma e ora quasi pronta anche se con ritardo perché non sempre fila tutto liscio e voi aquilani lo sapete bene. Qui faremo una piazza e pianteremo 40 alberi: sarà un luogo d’incontro».

Come migliorare le città in tempi di crisi e di spread?

«Le città non hanno bisogno di espandersi in nuove periferie. La crescita sostenibile avviene soltanto per implosione, cioè per completamento di città. Il periodo della crescita a macchia d’olio e delle periferie gigantesche è cessato. È saggio che questo avvenga in un momento in cui non si deve spendere troppo. L’Italia mi piace perché quasi tutte le città, da Verona a Noto, hanno la dignità di capitale. L’Aquila è una di queste».

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