Manoppello, lungo il fiume la via dei rifiuti
Ma dopo l’inchiesta sui lavori, all’Interporto stanno per arrivare i primi treni
MANOPPELLO. Sotto il sole che fa scintillare le vetrate della palazzina uffici, l’Interporto sembra un’astronave atterrata in mezzo all’erba. Il suono del motore di un camion rompe il silenzio di quello che diventerà il grande nodo delle attività di interscambio ferro-gomma di merci e che oggi è una spianata d’asfalto semideserta punteggiata di capannoni. Percorsa una sottile strada bianca che attraversa l’area, si arriva al fiume Pescara, affondato dentro un precipizio di quattro o cinque metri.
«Qui è sempre stato così, da che mi ricordo. Il corso del fiume è lo stesso» dice l’uomo allungando lo sguardo. Attorno alle 13, nell’aria bollente, l’anziano ciclista si allena avanti e indietro lungo la strada sterrata senza sollevare un filo di polvere. «Ottanta o novanta anni fa, questo era tutto del barone Zambra. Poi dalla Toscana arrivò come fattore un certo Staccioli, e poco a poco tutto diventò suo». Oggi la località, dove su 960 mila metri quadrati sorge l’Interporto, porta il nome degli Staccioli.
Il dislivello tra il punto di osservazione e l’acqua, un piccolo strapiombo di terra che si spacca e si sfalda, è uno degli elementi che avrebbero portato alla deduzione che, durante i lavori di scavo per la realizzazione del raccordo ferroviario (opere del secondo lotto), le imprese avrebbero smaltito illecitamente 100 mila metri cubi di terra scaricandoli nel fiume in località Piana della Stazza: sul lato destro, in un’area demaniale sottoposta a vincolo, la sponda sarebbe stata sollevata a tal punto che in un tratto il canyon sarebbe crollato, provocando la deviazione del fiume. Quattro le persone indagate dalla procura di Chieti dopo le indagini condotte dalla Guardia Forestale: l’ex amministratore delegato della Toto costruzioni, Paolo Toto, Cesidio Tuzi, rappresentante della Tuzi costruzioni generali, Raimondo Rosati, amministratore della Rosati scavi, e Andrea Liberati, reponsabile del cantiere.
IL DISLIVELLO SOSPETTO.
«Il fiume è sempre stato così» ripete l’uomo. Ma i ricordi sullo stato delle sponde sono diversi: «Negli anni Sessanta in quell’area c’era un lago, con un dislivello di circa 1 metro e mezzo, poi con i lavori stradali e il prelievo di materiale dalle sponde, si è creato il baratro» sostiene il sindaco Gennaro Matarazzo. In questo punto, che si trova esattamente alle spalle dell’Interporto, a poca distanza da una casa disabitata, il livello del terreno sembra però non avere subito modifiche. A provarlo ci sono le vecchie pompe che sollevano l’acqua dai pozzi per l’irrigazione dei campi, che sarebbero altrimenti rimaste sotterrate: una di queste, seminascosta e arrugginita, spunta in mezzo a un cespuglio di canne proprio sul bordo del precipizio. Lungo il terreno che si sfalda affiora un tubo. «Se pure fosse avvenuto, e non lo so» confida una persona che ha lavorato nel cantiere, «era terra buona, terra vegetale, che la gente veniva persino a chiedere».
LA STRADA DEI RIFIUTI.
Quale che sia l’esito dell’inchiesta, che qui esista un’emergenza ambientale è provato dalla via dei rifiuti. Ritornando indietro lungo la strada bianca, a circa cinquanta metri dalla sponda, una biforcazione conduce attraverso un percorso irreale. A destra e a sinistra, la viuzza è costeggiata da colline di terra mista a rifiuti alte più di due metri, cumuli di terra e immondizia impastate, sparse per centinaia di metri su terreni privati, che circa due anni fa sono stati scoperti dall’amministrazione e che oggi bloccano l’avvio dei lavori per la realizzazione del parco fluviale e delle infrastrutture, opere affidate al Comune con un finanziamento regionale di 10 milioni di euro.
«L’area in cui partiranno i lavori di completamento dell’interporto è stata esaminata dall’Arta e dichiarata non inquinata» spiega Matarazzo, «adesso siamo in attesa dei risultati delle analisi che riguardano questo tratto: dovrebbe essere materiale di risulta di lavorazione di cartiere, non pericoloso».
Tuttavia, alla fine dello scorso anno, il Wwf ha lanciato l’allarme: «Quella è una terra di nessuno, piena di discariche, dove in alcuni punti emerge anche la falda» spiega Augusto De Sanctis, «noi abbiamo inviato una lettera al ministero dell’Ambiente, chiedendo che l’area di Piano della Stazza sia inserito nel perimetro di bonifica di Bussi sul Tirino. E che il problema sia serio» sottolinea, «lo dimostra la durissima ordinanza del comune di Chieti che ha vietato ogni genere di attività nel tratto dal Megalò a San Martino, per oltre 500 ettari».
A nove anni dall’avvio dei lavori, iniziati alla fine del 1998, l’attività dell’Interporto sta finalmente per partire. Oggi nella palazzina uffici, assieme al direttore generale di Mòsè Renzi, lavorano due persone.
CONVOGLI IN FUNZIONE.
Ma il primo treno merci sta per muoversi sul raccordo da 6,5 km che si aggancia alla ferrovia adriatica a Chieti scalo e finisce su un doppio piazzale di 70 mila metri: a regime, si stima che l’Interporto occuperà circa 400 persone. Conclusi i lavori del secondo lotto nell’autunno scorso, stanno per essere avviati, in project financing, i lavori di completamento da 55 milioni di euro affidati alla Intermodale srl guidata da Gianni Di Vincenzo, una società a totale capitale privato (Di Vincenzo-Toto) che, realizzate le opere, gestirà gli immobili per 28 anni, corrispondendo alla Regione (proprietario della struttura) il 34% degli affitti percepiti dalle imprese che si insedieranno nell’area. La Intermodale realizzerà 60 mila metri quadrati di capannoni (20 mila quelli già costruiti), oltre ai piazzali e al casello autostradale della A 25, che sorgerà a una distanza di circa un chilometro dallo snodo. «Anche se ci si occupa dell’Interporto per ragioni che non ci fanno piacere, quello che bisogna dire» sottolinea Gianni Di Vincenzo, «è che questa è una infrastruttura importante per l’Abruzzo, che porterà sviluppo. I binari sono pronti: ora abbiamo avviato le attività di promozione, auspichiamo la chiusura dei primi contratti a settembre, per riuscire a organizzare i primi treni».
DALLA GOMMA AL FERRO.
La gestione dello scalo ferroviario e delle attività connesse sarà affidata alla Interporto Val Pescara, società a capitale misto pubblico-privato guidata da Dino Di Vincenzo. «Alla vicenda giudiziaria siamo del tutto estranei: l’eventuale conferimento di materiale è avvenuto fuori dal cantiere e dal nostro controllo» precisa Renzi prima di spiegare quale sarà il futuro dell’Interporto. «Noi pensiamo di entrate in attività tra settembre e gennaio: la ferrovia è terminata, il collaudo e la stipula del contratto con Rfi (Rete ferroviaria italiana) si farà entro giugno». L’avvio dipenderà dall’accordo con una Mto, una società che farà da interfaccia tra Interporto e clienti. Degli attuali 20 mila metri quadrati coperti, oggi 8 mila sono quelli utilizzati da Grs Logistica, Vanto e Adriatica Logistica, mentre i contratti con Fas e Cometa, che occupavano altri 10 mila metri, sono stati risolti «perché interferivano con le attività di cantiere».
Una volta avviata, l’attività consentirà il trasferimento delle merci dalla gomma (i mezzi pesanti) al ferro (i binari), con un abbattimento delle emissioni inquinanti e con un risparmio dei costi di trasporto a partire dagli 800 km in poi: «Ogni treno» spiega Renzi, «potrà trasportare l’equivalente di 25 mezzi pesanti». Le merci potranno essere quelle in arrivo o in partenza per le grandi rotte internazionali (per esempio attraverso Gioia Tauro) o per i Paesi europei: «Ci sono già molti grandi gruppi industriali interessati all’Interporto: abbiamo grandissimi importatori di prodotti tessili finiti, di cellulosa, per esempio, e più sono grandi più percepiscono soluzioni di minore impatto come un valore aggiunto» sottolinea Renzi. «Noi pensiamo di entrare in rete utilizzando inizialmente l’hub di Bologna come snodo per il nord Europa, per poi agire autonomamente».
«Qui è sempre stato così, da che mi ricordo. Il corso del fiume è lo stesso» dice l’uomo allungando lo sguardo. Attorno alle 13, nell’aria bollente, l’anziano ciclista si allena avanti e indietro lungo la strada sterrata senza sollevare un filo di polvere. «Ottanta o novanta anni fa, questo era tutto del barone Zambra. Poi dalla Toscana arrivò come fattore un certo Staccioli, e poco a poco tutto diventò suo». Oggi la località, dove su 960 mila metri quadrati sorge l’Interporto, porta il nome degli Staccioli.
Il dislivello tra il punto di osservazione e l’acqua, un piccolo strapiombo di terra che si spacca e si sfalda, è uno degli elementi che avrebbero portato alla deduzione che, durante i lavori di scavo per la realizzazione del raccordo ferroviario (opere del secondo lotto), le imprese avrebbero smaltito illecitamente 100 mila metri cubi di terra scaricandoli nel fiume in località Piana della Stazza: sul lato destro, in un’area demaniale sottoposta a vincolo, la sponda sarebbe stata sollevata a tal punto che in un tratto il canyon sarebbe crollato, provocando la deviazione del fiume. Quattro le persone indagate dalla procura di Chieti dopo le indagini condotte dalla Guardia Forestale: l’ex amministratore delegato della Toto costruzioni, Paolo Toto, Cesidio Tuzi, rappresentante della Tuzi costruzioni generali, Raimondo Rosati, amministratore della Rosati scavi, e Andrea Liberati, reponsabile del cantiere.
IL DISLIVELLO SOSPETTO.
«Il fiume è sempre stato così» ripete l’uomo. Ma i ricordi sullo stato delle sponde sono diversi: «Negli anni Sessanta in quell’area c’era un lago, con un dislivello di circa 1 metro e mezzo, poi con i lavori stradali e il prelievo di materiale dalle sponde, si è creato il baratro» sostiene il sindaco Gennaro Matarazzo. In questo punto, che si trova esattamente alle spalle dell’Interporto, a poca distanza da una casa disabitata, il livello del terreno sembra però non avere subito modifiche. A provarlo ci sono le vecchie pompe che sollevano l’acqua dai pozzi per l’irrigazione dei campi, che sarebbero altrimenti rimaste sotterrate: una di queste, seminascosta e arrugginita, spunta in mezzo a un cespuglio di canne proprio sul bordo del precipizio. Lungo il terreno che si sfalda affiora un tubo. «Se pure fosse avvenuto, e non lo so» confida una persona che ha lavorato nel cantiere, «era terra buona, terra vegetale, che la gente veniva persino a chiedere».
LA STRADA DEI RIFIUTI.
Quale che sia l’esito dell’inchiesta, che qui esista un’emergenza ambientale è provato dalla via dei rifiuti. Ritornando indietro lungo la strada bianca, a circa cinquanta metri dalla sponda, una biforcazione conduce attraverso un percorso irreale. A destra e a sinistra, la viuzza è costeggiata da colline di terra mista a rifiuti alte più di due metri, cumuli di terra e immondizia impastate, sparse per centinaia di metri su terreni privati, che circa due anni fa sono stati scoperti dall’amministrazione e che oggi bloccano l’avvio dei lavori per la realizzazione del parco fluviale e delle infrastrutture, opere affidate al Comune con un finanziamento regionale di 10 milioni di euro.
«L’area in cui partiranno i lavori di completamento dell’interporto è stata esaminata dall’Arta e dichiarata non inquinata» spiega Matarazzo, «adesso siamo in attesa dei risultati delle analisi che riguardano questo tratto: dovrebbe essere materiale di risulta di lavorazione di cartiere, non pericoloso».
Tuttavia, alla fine dello scorso anno, il Wwf ha lanciato l’allarme: «Quella è una terra di nessuno, piena di discariche, dove in alcuni punti emerge anche la falda» spiega Augusto De Sanctis, «noi abbiamo inviato una lettera al ministero dell’Ambiente, chiedendo che l’area di Piano della Stazza sia inserito nel perimetro di bonifica di Bussi sul Tirino. E che il problema sia serio» sottolinea, «lo dimostra la durissima ordinanza del comune di Chieti che ha vietato ogni genere di attività nel tratto dal Megalò a San Martino, per oltre 500 ettari».
A nove anni dall’avvio dei lavori, iniziati alla fine del 1998, l’attività dell’Interporto sta finalmente per partire. Oggi nella palazzina uffici, assieme al direttore generale di Mòsè Renzi, lavorano due persone.
CONVOGLI IN FUNZIONE.
Ma il primo treno merci sta per muoversi sul raccordo da 6,5 km che si aggancia alla ferrovia adriatica a Chieti scalo e finisce su un doppio piazzale di 70 mila metri: a regime, si stima che l’Interporto occuperà circa 400 persone. Conclusi i lavori del secondo lotto nell’autunno scorso, stanno per essere avviati, in project financing, i lavori di completamento da 55 milioni di euro affidati alla Intermodale srl guidata da Gianni Di Vincenzo, una società a totale capitale privato (Di Vincenzo-Toto) che, realizzate le opere, gestirà gli immobili per 28 anni, corrispondendo alla Regione (proprietario della struttura) il 34% degli affitti percepiti dalle imprese che si insedieranno nell’area. La Intermodale realizzerà 60 mila metri quadrati di capannoni (20 mila quelli già costruiti), oltre ai piazzali e al casello autostradale della A 25, che sorgerà a una distanza di circa un chilometro dallo snodo. «Anche se ci si occupa dell’Interporto per ragioni che non ci fanno piacere, quello che bisogna dire» sottolinea Gianni Di Vincenzo, «è che questa è una infrastruttura importante per l’Abruzzo, che porterà sviluppo. I binari sono pronti: ora abbiamo avviato le attività di promozione, auspichiamo la chiusura dei primi contratti a settembre, per riuscire a organizzare i primi treni».
DALLA GOMMA AL FERRO.
La gestione dello scalo ferroviario e delle attività connesse sarà affidata alla Interporto Val Pescara, società a capitale misto pubblico-privato guidata da Dino Di Vincenzo. «Alla vicenda giudiziaria siamo del tutto estranei: l’eventuale conferimento di materiale è avvenuto fuori dal cantiere e dal nostro controllo» precisa Renzi prima di spiegare quale sarà il futuro dell’Interporto. «Noi pensiamo di entrate in attività tra settembre e gennaio: la ferrovia è terminata, il collaudo e la stipula del contratto con Rfi (Rete ferroviaria italiana) si farà entro giugno». L’avvio dipenderà dall’accordo con una Mto, una società che farà da interfaccia tra Interporto e clienti. Degli attuali 20 mila metri quadrati coperti, oggi 8 mila sono quelli utilizzati da Grs Logistica, Vanto e Adriatica Logistica, mentre i contratti con Fas e Cometa, che occupavano altri 10 mila metri, sono stati risolti «perché interferivano con le attività di cantiere».
Una volta avviata, l’attività consentirà il trasferimento delle merci dalla gomma (i mezzi pesanti) al ferro (i binari), con un abbattimento delle emissioni inquinanti e con un risparmio dei costi di trasporto a partire dagli 800 km in poi: «Ogni treno» spiega Renzi, «potrà trasportare l’equivalente di 25 mezzi pesanti». Le merci potranno essere quelle in arrivo o in partenza per le grandi rotte internazionali (per esempio attraverso Gioia Tauro) o per i Paesi europei: «Ci sono già molti grandi gruppi industriali interessati all’Interporto: abbiamo grandissimi importatori di prodotti tessili finiti, di cellulosa, per esempio, e più sono grandi più percepiscono soluzioni di minore impatto come un valore aggiunto» sottolinea Renzi. «Noi pensiamo di entrare in rete utilizzando inizialmente l’hub di Bologna come snodo per il nord Europa, per poi agire autonomamente».