'Ndrangheta in Abruzzo, rinviato il maxi processo al boss Ferrazzo
Udienza aggiornata al 2 luglio per difetto di notifica: sono 108 gli imputati coinvolti al termine dell'operazione "Isola felice"
PESCARA. Ancora un rinvio per difetti di notifica, dopo quello dell'ottobre scorso, questa mattina in tribunale a Pescara, nell'ambito del maxi processo, con giudizio immediato, scaturito dall'operazione "Isola felice", condotta da carabinieri e Direzione distrettuale antimafia nel settembre del 2016, in merito alla penetrazione criminale della 'ndrangheta in Abruzzo e in particolare nell'area Vastese. Sono 108 gli imputati coinvolti nel processo, che si basa su un dossier di oltre 600 pagine. Nel 2016 furono eseguite 25 misure cautelari per associazione a delinquere di stampo mafioso e sequestrati oltre 300 chilogrammi di droga, insieme a fucili, mitragliatori, pistole e munizioni. Presenti, questa mattina in aula, Eugenio Ferrazzo, calabrese di 40 anni, ritenuto dagli inquirenti il vertice dell'organizzazione criminale sgominata attraverso l'inchiesta. L'uomo, arrivato in Abruzzo nell'ottobre del 2006, dopo un periodo di detenzione all'estero per traffico internazionale di cocaina, si trasferì a San Salvo (Chieti), sfuggendo alla mattanza ordita dallo zio Mario Donato Ferrazzo, considerato il capo indiscusso della 'ndrina di Mesoraca (Crotone).
Eugenio Ferrazzo avrebbe reclutato nuova manovalanza e - sostiene l'accusa - «in una prima fase stabilì la sua base operativa e logistica a casa della compagna, a Montesilvano (Pescara)», sviluppando un sodalizio criminale. In aula anche Alessio Di Girolamo, pescarese di 32 anni, con diversi precedenti, che secondo l'accusa avrebbe fatto parte dell'organizzazione dedita al traffico di droga e sarebbe stato uno dei gestori della piazza di spaccio di Pescara. Alla base delle indagini, il sequestro avvenuto nel 2010 a Pescara e da qui la competenza territoriale del tribunale del capoluogo adriatico. Le indagini successive consentirono ai carabinieri di scoprire un fiorente traffico di cocaina tra Italia e Sud America e di individuare una raffineria che l'organizzazione criminale aveva realizzato in un'abitazione di San Salvo, dove fu scoperto anche un deposito di armi. Dopo i primi colpi inferti dalle forze dell'ordine, alcuni componenti dell'organizzazione iniziarono a collaborare, consentendo ai carabinieri di fare luce sulla ramificazione di un'articolata organizzazione criminale con basi operative nel Vastese e nel litorale molisano, ma anche a Pescara e L'Aquila, operante sotto il diretto controllo del clan Ferrazzo. Secondo il pm della procura dell'Aquila, Stefano Gallo, gli esponenti del clan, che aveva al vertice Eugenio Ferrazzo e il padre Felice Ferrazzo, avrebbero avuto «un ruolo fondamentale nei tentativi di espansione della 'ndrangheta nel resto d'Italia». Il tribunale collegiale, presieduto dal giudice Rossana Villani, ha aggiornato l'udienza al prossimo 2 luglio, rinnovando le notifiche, non andate a buon fine, nei confronti di due imputati, più un terzo rispetto al quale è stata però disposta una verifica del presunto difetto di notifica.