UNIONE DEI COMUNI
Nuova Pescara in dieci punti: D’Alfonso si candida a sindaco
L’ex primo cittadino: «Il processo di fusione deve mettere tutti alla pari». Il nome? «Adriatica»
PESCARA. Lancia la sua candidatura a sindaco della Nuova Pescara l’onorevole Luciano D'Alfonso. Lo fa nel corso del convegno da lui organizzato dal titolo “Dieci anni dal processo a Città Vicina: come procede Pescara?”, in un’aula consiliare piena di cittadini. Non lo dice espressamente ma lo lascia chiaramente intendere quando ricorda le sue vicende giudiziarie, la sua assoluzione piena nel 2013 e le questioni che dovette lasciare in sospeso, lanciandosi in un vero e proprio programma elettorale, elencando punto per punto i nodi che andrà a sciogliere per far crescere la sua città che «potrebbe chiamarsi Adriatica».
Quelle problematiche cittadine rimaste ancora inevase in questi ultimi dieci anni. «Oggi ripartiamo», ha detto, «da quei nodi bloccati che devono essere sciolti e trasformati in opportunità». Riferisce sulla sua visita di ieri alle carceri di San Donato, decisa dopo aver superato il suo blocco psicologico per le vicende giudiziarie che lo colpirono nel 2008: «Ho portato dentro di me il carico di una paura, perché si è lavorato per generare paura: che le carceri potessero diventare il luogo del mio trattenimento e contenimento. La lotta politica che diventò giudiziaria. Oggi delle carceri me ne voglio occupare come amministratore per delocalizzarle e rendere migliore la vita degli operatori e dei detenuti».
E, senza mai operare affondi sul versante giudiziario, D'Alfonso ricorda che in quel periodo, «in questa aula consiliare percepivo una sorta di catena di Sant’Antonio che vedeva presenze qui dentro e attività fuori, per cercare di rendere come mia città naturale proprio il carcere di Pescara: mi si voleva togliere dall’agone politico, dalle attività amministrative e rendermi un abituale utente della casa circondariale». E chiede: «Perché si è voluto scatenare quella specie di operazione su vasta scala a opera non solo di figure politiche?».
Poi torna sui nodi e irrisolti. «In 2000 giorni di governo della città vennero fatti 553 interventi per risolvere i problemi di Pescara, ma 10 problemi di rilievo rimasero sospesi quando andai via, e sono ancora sul tappeto». Ed elenca, come un programma elettorale, i punti principali da risolvere per la città: le aree di risulta che devono diventare un grande giacimento verde della città; la cittadella regionale; la struttura depurativa; i cimiteri; la sede dei vigili del fuoco da ricollocare «per rendere quel rettangolo omogeneo con l’Università»; le carceri da spostare; lo scalo merci ferroviario di 56 mila metri quadrati; la bonifica del fiume e non ultimo l’aeroporto militare da consentire come ingrandimento dell’aeroporto civile. Tutte attività che quando diventai Governatore ho ricoperto di risorse finanziarie: 186 milioni di euro consegnati nei 54 mesi di vertice regionale per le necessità di Pescara e non solo, molti dei quali non sono stati appaltati».
Ma nel frattempo, dice D'Alfonso, «di Pescara si era impadronita la paura perché a Pescara la politica ha ceduto il passo alla lotta giudiziaria. Bisogna ristabilire la pienezza della politica, dell’attività amministrativa e delle decisioni pubbliche, distinguendo l’attività giudiziaria da quella politica e io farò l’impossibile perché questo accada».
Poi punta il dito sui suoi competitor politici. «Purtroppo alcuni decadenti della politica hanno lavorato per rendere minoritaria la politica. Quei signori che si incontravano tra il 2007 e il 2008 e che riuscivano a presagire il blocco della mia attività politica. Perché», si chiede, «ci fu questo progetto indicibile e nascosto, invece di un confronto democratico-politico alla luce del sole sui vari nodi? Perché si è dovuto far pagare alla città una lotta di carattere politico che ha preso un’altra strada. Se fosse andato avanti quel cammino fino al 2013 avremmo risolto tutti quei problemi che ho elencato».
E arriva ai suoi obiettivi. «Lavoreremo su questo programma di 10 punti, ma è importante che ci sia una classe dirigente che non si spaventi: lucida, determinata, capace di quella forza che c’è bisogno di declinare per raccogliere le ambizioni dei cittadini, gli interessi legittimi degli operatori di ricchezza e i poteri dell'ordinamento». E per impedire che la «prepotenza vada in atto ai danni della qualità della decisione politica», D'Alfonso conclude: «Accenderemo le luci per rilevare anche quei millimetri che sono diventati chilometri che hanno bloccato un'attività che meritava di essere portata a termine. Per la Nuova Pescara ci vuole un progetto, non deve essere una corsa al protagonismo. Il progetto di fusione non dovrà trascurare nulla e dovrà mettere tutti alla pari, altrimenti fra dieci anni ci sarà la rottura».