Poste, 153 dipendenti a rischio al centro meccanizzato di Pescara
L’azienda pronta a riorganizzare la struttura con il trasferimento delle competenze ad altre regioni Rifondazione comunista e sindacati chiedono l’intervento delle istituzioni locali
PESCARA. A Pescara, 153 dipendenti del Centro meccanizzazione delle Poste rischiano di perdere il posto di lavoro. È quanto potrebbe accadere se un piano dell’azienda dovesse andare in porto. Si tratta di un progetto di ristrutturazione da lacrime e sangue che prevede, di fatto, lo smantellamento dell’enorme Centro di via Alessandro Volta e il trasferimento di alcune competenze alle sedi di altre regioni. A rivelarlo sono il consigliere regionale e comunale di Rifondazione comunista Maurizio Acerbo e i sindacati di categoria che chiedono l’immediato intervento delle istituzioni locali per evitare che il piano possa essere messo in atto.
L’enorme Centro di via Volta. Il Centro meccanizzazione postale (Cmp) di Pescara è considerato un centro d’eccellenza, al punto da detenere il primato in Italia per la lavorazione di alcuni tipi di raccomandate. Vi lavorano in tutto 234 dipendenti, con una trentina di ditte dell’indotto che ruotano intorno alle Poste di Pescara. La struttura, inaugurata nel 2008, è enorme: ha un’estensione di circa 5.000 metri quadrati più altri 4.900 del vecchio edificio.
Il piano dell’azienda. «Poste italiane», dice Acerbo, «ha intenzione di procedere a una riorganizzazione della rete logistica che penalizzerebbe fortemente il Centro meccanizzazione postale di Pescara». Il piano, ancora riservato, prevederebbe un ridimensionamento del Cmp, che dovrebbe trasformarsi in un Centro prioritario. Secondo Acerbo, questa operazione comporterebbe una riduzione drastica del personale, che scenderebbe da 234 a 81 dipendenti, con 153 esuberi. Lavoratori che rischiano di essere trasferiti in altre sedi, o perdere addirittura il posto.
A detta di Rifondazione comunista e dei sindacati, le attività oggi gestite dal Centro pescarese saranno spartite tra la Campania, che acquisirà le lavorazioni provenienti dal Molise, dalle Marche, che gestiranno il prodotto proveniente dalle province di Teramo e L’Aquila, e da Roma.
A rischio anche i voli. Le conseguenze di questo piano di ristrutturazione dell’azienda Poste italiane sarebbero pesantissime per Pescara, ma anche per il resto dell’Abruzzo. Non solo dal punto di vista occupazionale, ma anche per il futuro economico dell’intera regione. Potrebbe essere penalizzato persino l’aeroporto. «Con lo smantellamento del Cmp», sostiene Acerbo, «verrebbe sicuramente eliminato il volo postale notturno, che forse è l’unico aereo ad atterrare dopo la mezzanotte e ci potrebbero essere ricadute anche sulla classificazione dello scalo aeroportuale, in quanto potrebbe perdere l’autorizzazione a rimanere aperto di notte, cioè 24 ore su 24. Sicuramente l’aeroporto perderebbe cospicue entrate e l’unico servizio cargo attualmente attivo».
«Intervengano le istituzioni». A questo punto, Rifondazione comunista e sindacati di categoria mostrano forti preoccupazioni. Anche perché il tavolo tecnico che si è svolto a Roma tempo fa si sarebbe chiuso con diverse perplessità sulle scelte per Pescara.
«La difesa del Centro meccanizzazione postale», afferma Acerbo, «non può essere lasciata alle sole organizzazioni sindacali, ma richiede la massima mobilitazione della politica a livello comunale e regionale. L’Abruzzo, da tempo, è oggetto di un progressivo depauperamento di funzioni, strutture e insediamenti».
«In questo caso», prosegue il consigliere regionale e comunale di Rifondazione, «ci sono tutte le ragioni e gli spazi per una battaglia politica a tutela del territorio, visto che Poste non è un fondo d’investimento delle Cayman, ma una realtà aziendale ben piantata in Italia». Acerbo ha già preannunciato che presenterà, nei prossimi giorni, risoluzioni sia in consiglio comunale che in quello regionale, «affinché tutte le istituzioni si attivino in difesa del Cmp di Pescara». «Chiedo al sindaco Mascia», conclude, «di attivare un tavolo con tutti gli attori istituzionali, dal presidente della Regione Chiodi, ai parlamentari abruzzesi, fino ai sindacati, per affrontare il problema».
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