«Rigopiano come la Thyssen. E’ stato un disastro doloso» 

Ricorso alla Procura generale dei legali del sindaco e del tecnico di Farindola dopo il no dei pm di Pescara alla richiesta di trasferire il fascicolo all’Aquila

PESCARA. Tirano fuori il caso giudiziario della Thyssen-Krupp di Torino con sei condanne tra i sei e i 9 anni per i sei operai morti nello stabilimento in seguito all’incendio del 2007. E, in particolare, si rifanno alle regole dettate in quel caso dalla Cassazione a Sezioni unite in materia di dolo eventuale, per dimostrare che anche per Rigopiano si debba parlare di disastro doloso nella forma di dolo eventuale. Puntando il dito, cioè, contro la condotta di chi, all’interno della Regione, non ha realizzato la Carta di localizzazione dei pericoli da valanga (Clpv) che pure imponevano la legge e una delibera regionale, accettando consapevolmente il rischio dell’evento (la valanga appunto), e le sue eventuali conseguenze: i 29 morti di Rigopiano.
È questa in sintesi la strada intrapresa dagli avvocati Cristiana Valentini, Goffredo Tatozzi e Massimo Manieri, difensori di due dei sei indagati, il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, il tecnico comunale Enrico Colangeli e lo stesso Comune, nel ricorso presentato alla Procura generale.
Un ricorso che va ad opporsi a quanto stabilito dalla Procura di Pescara che nel dire no al trasferimento dell’inchiesta alla procura dell’Aquila richiesto dagli stessi avvocati, convinti che all’Aquila si sia consumato il reato più grave di disastro doloso, definiscono «in alcun modo ipotizzabili i delitti di disastro valanghivo o di crollo di edificio nella forma dolosa». Indicando al contrario, come delitto più grave, quello di rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro. Vale a dire cartellonistica e paravalanghe.

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«Un’ipotesi non sostenibile», sostengono i tre difensori nel loro ricorso, rimarcando che «la contestazione realizzata dalla procura di Pescara manca di qualunque riferimento» alla legge regionale 47/92 che prevede l’obbligo di redazione della Clpv in carico alla Regione. Al contrario, secondo i legali, sulla base delle acquisizioni scientifiche realizzate da esperti da loro incaricati, «esiste un nesso scientificamente dimostrato tra l’omissione della Clpv e il tragico disastro di Rigopiano».
Omissione che, secondo gli stessi avvocati, è frutto della «plateale negligenza da parte di varie giunte e dirigenti della Regione Abruzzo che hanno lasciato la legge in soffitta per anni». Fino a quando, però, «la condotta dei dirigenti regionali sfora il confine che separa la colpa/grave negligenza dal dolo eventuale». Quando cioè, come ricostruiscono i legali nel ricorso, «una giunta nel 2014 ordina di realizzare la Clpv voluta dalla legge come mezzo di prevenzione di disastri da valanga, mette denaro a disposizione degli uffici tecnici, ma nulla si muove fino al disastro di Rigopiano».
Ma perché nessuno si muove se, come scrivono ancora i legali, i dirigenti regionali responsabili dell’ufficio rischio neve e valanghe sono «assolutamente consapevoli dei rischi derivanti dalla mancata realizzazione della Clpv»? Una consapevolezza che i legali dimostrano mettendo agli atti un articolo scientifico pubblicato sulla rivista “La protezione civile italiana” nel 2014 a firma di Carlo Giovani e Sabatino Belmaggio, rispettivamente direttore e responsabile del servizio Prevenzione dei rischi. Uno scritto in cui i due esperti scrivono che la «carta storica», quella propedeutica alla Clpv realizzata in sei mesi dai privati e poi aggiornata prima in due anni e poi dopo altri tre dallo stesso ufficio, «non è da considerarsi sufficiente per la valutazione della pericolosità da valanghe di un’area. Funzione svolta dalla Clpv il cui rilievo sul territorio regionale partirà nel 2014».
Ma il 18 gennaio, quando la valanga spazza via il resort Rigopiano e 29 esistenze, di quella carta non c’è ombra in Abruzzo. Eppure, sottolineano i tre difensori nel ricorso in cui avallano l’ipotesi del disastro doloso, «la preparazione scientifica conclamata dall’articolo e da ogni esternazione dei diretti interessati, gli allarmi indirizzati loro dal Corpo forestale, gli incidenti da valanga susseguitisi nell’arco degli anni, tutto concorre a dichiarare che hanno lasciato ineseguito l’ordine di Giunta nella piena conoscenza delle conseguenze letali che avrebbero potuto derivare dall’omissione». Ma perché? Ecco il capitolo “soldi”, quello che, secondo i legali, spiegherebbe tutta la vicenda.
La legge che impone la Clpv prevede che nelle aree soggette ai pericoli da valanga è sospesa l’edificazione, la realizzazione di impianti e infrastrutture ai fini residenziali, produttivi e di carattere industriale, artigianale, commerciale, turistico e agricolo. E oltre a questo, è costosa da realizzare. Impopolare e costosa. Lo dice nell’audizione del 30 maggio in Procura lo stesso Sabatino Belmaggio al pm Papalia e ai tre avvocati che hanno chiesto e ottenuto di sentirlo. Alla domanda sul perché il responsabile dell’ufficio competente non abbia eseguito l’ordine formulato dalla delibera di giunta nel 2014, Belmaggio risponde: «C’era un problema finanziario».
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