Tratta di esseri umani Il grande business della criminalità
TERAMO. Una volta c’erano le navi negriere, grandi velieri che attraversavano l’oceano per rifornire di manodopera a costo zero la nascente economia del nuovo mondo. Quei tempi non ci sono più, ma il...
TERAMO. Una volta c’erano le navi negriere, grandi velieri che attraversavano l’oceano per rifornire di manodopera a costo zero la nascente economia del nuovo mondo. Quei tempi non ci sono più, ma il traffico di esseri umani continua sotto altre forme, in modi più subdoli, altrettanto inumani per ridurre di fatto in schiavitù soprattutto donne, ma anche bambini da avviare alla prostituzione minorile o mandati a morte per il commercio di organi, e lavoratori in nero. La tratta degli esseri umani, la sua qualificazione giuridica nelle legislazioni interna e internazionale, le strategia di contrasto a un fenomeno criminale che investe direttamente l’Italia sono stati al centro del convegno che si è svolto ieri all’università di Teramo, organizzato dall’ateneo e dalla procura della Repubblica, in collaborazione con la scuola superiore della magistratura e l’ordine degli avvocati di Teramo.
Il nostro paese è particolarmente preso di mira dai trafficanti, ha spiegato il procuratore generale presso la corte d’appello dell’Aquila Pietro Mennini, «non solo per la sua posizione geografica, ma anche per un vuoto normativo», e soprattutto per «la mancanza di accordi internazionali» che possano efficacemente contrastare il fenomeno. Sulla necessità di una maggiore cooperazione giuridica internazionale hanno insistito quasi tutti i relatori, e ne ha parlato anche il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, rimarcando che i gruppi criminali che gestiscono la tratta hanno lo stesso modo di operare delle mafie. «Anche l’Isis», ha affermato, «si comporta come una mafia», pur se ammantata di ideologia e di religione, «soggetti affiliati all’Isis sono coinvolti nella tratta degli esseri umani». «Dobbiamo coinvolgere la Libia nella cooperazione giudiziaria», ha aggiunto il procuratore antimafia, «se vogliamo contrastare questo fenomeno. La situazione in Libia è molto difficile, lo sappiamo, ma abbiamo il dovere di provarci». La difficoltà di combattere la tratta, ha aggiunto Roberti, poggia su due motivi: da un lato «mancano ancora gli strumenti organizzativi a livello internazionale»; l’altra ragione «è che non si combattono le diseguaglianze sociali» che spingono tante persone dei paesi poveri, in particolare le donne ad affidarsi ai trafficanti nella speranza di migliorare le proprie condizioni di vita, abbindolate dalle false promesse dei criminali.
La tratta non ha più le caratteristiche dello schiavismo di un tempo, ora è più minuta, più frammentata, meno visibile, ma non per questo non la si può individuare. «Dove c’è la povera prostituta ai margini di una strada di periferia», l’esempio fatto dal procuratore dell’Aquila Michele Renzo, «lì c’è la tratta. E chi la vede? Il comandante della stazione dei carabinieri, le nostre onlus, il parroco: questa rete diventa la nostra sentinella contro la criminalità organizzata».
Sebbene sia un’attività criminale sempre più estesa, alimentata anche dal crescente traffico di migranti – ma i due fenomeni, si è detto nel convegno, per quanto connessi sono ben distinti – la tratta è ancora molto difficile da reprimere e anche delinearne con esattezza la portata. Nella relazione pubblicata dall’Ue nel 2016, come ha ricordato il sostituto procuratore di Teramo Stefano Giovagnoni, si parla di 16mila vittime registrate, e si legge anche «che è un reato poco perseguito, con poche inchieste e poche condanne», perché è ancora difficile da qualificare come tale. «È un reato transnazionale», ha aggiunto Giovagnoni, «che si organizza attraverso cellule criminali collegate: quelle del paese di origine, quelle che si occupano del trasporto e quale del paese di arrivo». Però in Abruzzo, ha rimarcato il pm teramano, «ci sono stati significativi successi investigativi e condanne». Grazie anche a strumenti di indagine come le linee guida adottate dalla procura di Teramo nel 2005 – promosse in particolare dal pm Davide Mancini, ora all’Aquila, tra i relatori del convegno – e al recentissimo protocollo stipulato fra le procure abruzzesi, citato dal procuratore di Teramo Antonio Guerriero.
Di «intreccio fra il fenomeno epocale delle migrazioni e la tratta degli esseri umani», ha parlato, nelle conclusioni, il vice presidente del Csm Giovanni Legnini. «La risposta giudiziaria che possiamo mettere in campo», si è chiesto, «è sufficiente? Siamo attrezzati fino in fondo? No, non lo siamo».
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Il nostro paese è particolarmente preso di mira dai trafficanti, ha spiegato il procuratore generale presso la corte d’appello dell’Aquila Pietro Mennini, «non solo per la sua posizione geografica, ma anche per un vuoto normativo», e soprattutto per «la mancanza di accordi internazionali» che possano efficacemente contrastare il fenomeno. Sulla necessità di una maggiore cooperazione giuridica internazionale hanno insistito quasi tutti i relatori, e ne ha parlato anche il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, rimarcando che i gruppi criminali che gestiscono la tratta hanno lo stesso modo di operare delle mafie. «Anche l’Isis», ha affermato, «si comporta come una mafia», pur se ammantata di ideologia e di religione, «soggetti affiliati all’Isis sono coinvolti nella tratta degli esseri umani». «Dobbiamo coinvolgere la Libia nella cooperazione giudiziaria», ha aggiunto il procuratore antimafia, «se vogliamo contrastare questo fenomeno. La situazione in Libia è molto difficile, lo sappiamo, ma abbiamo il dovere di provarci». La difficoltà di combattere la tratta, ha aggiunto Roberti, poggia su due motivi: da un lato «mancano ancora gli strumenti organizzativi a livello internazionale»; l’altra ragione «è che non si combattono le diseguaglianze sociali» che spingono tante persone dei paesi poveri, in particolare le donne ad affidarsi ai trafficanti nella speranza di migliorare le proprie condizioni di vita, abbindolate dalle false promesse dei criminali.
La tratta non ha più le caratteristiche dello schiavismo di un tempo, ora è più minuta, più frammentata, meno visibile, ma non per questo non la si può individuare. «Dove c’è la povera prostituta ai margini di una strada di periferia», l’esempio fatto dal procuratore dell’Aquila Michele Renzo, «lì c’è la tratta. E chi la vede? Il comandante della stazione dei carabinieri, le nostre onlus, il parroco: questa rete diventa la nostra sentinella contro la criminalità organizzata».
Sebbene sia un’attività criminale sempre più estesa, alimentata anche dal crescente traffico di migranti – ma i due fenomeni, si è detto nel convegno, per quanto connessi sono ben distinti – la tratta è ancora molto difficile da reprimere e anche delinearne con esattezza la portata. Nella relazione pubblicata dall’Ue nel 2016, come ha ricordato il sostituto procuratore di Teramo Stefano Giovagnoni, si parla di 16mila vittime registrate, e si legge anche «che è un reato poco perseguito, con poche inchieste e poche condanne», perché è ancora difficile da qualificare come tale. «È un reato transnazionale», ha aggiunto Giovagnoni, «che si organizza attraverso cellule criminali collegate: quelle del paese di origine, quelle che si occupano del trasporto e quale del paese di arrivo». Però in Abruzzo, ha rimarcato il pm teramano, «ci sono stati significativi successi investigativi e condanne». Grazie anche a strumenti di indagine come le linee guida adottate dalla procura di Teramo nel 2005 – promosse in particolare dal pm Davide Mancini, ora all’Aquila, tra i relatori del convegno – e al recentissimo protocollo stipulato fra le procure abruzzesi, citato dal procuratore di Teramo Antonio Guerriero.
Di «intreccio fra il fenomeno epocale delle migrazioni e la tratta degli esseri umani», ha parlato, nelle conclusioni, il vice presidente del Csm Giovanni Legnini. «La risposta giudiziaria che possiamo mettere in campo», si è chiesto, «è sufficiente? Siamo attrezzati fino in fondo? No, non lo siamo».
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