Travolta sulle strisce, l’appello del marito: «Giustizia per Maria Luisa, aiutatemi»

10 Febbraio 2025

Vincenzo Franciosa, marito della donna di cinquant’anni travolta da una Ford Fiesta a tutta velocità, si è appellato all’automobilista che ha assistito allo schianto: «Le indagini sono state chiuse in meno di venti giorni, mentre i miei figli sono condannati per sempre a vivere senza una madre»

PESCARA. Sofia e Maria Luisa. Quindici anni la prima, cinquanta la seconda. Entrambe travolte sulle strisce pedonali di Pescara davanti agli occhi dei propri familiari, entrambe morte dopo alcuni giorni in Rianimazione ed entrambe simbolo d’amore, grazie al gesto dei propri cari di donare i loro organi. Cuore, fegato, cornee e reni. La stessa generosità, Sofia e Maria Luisa.

E oggi che ricorre il secondo mese dalla morte della studentessa del liceo scientifico Maior, investita da un suv il 3 dicembre (e morta il 10), mentre attraversava via Falcone e Borsellino per raggiungere il papà Giuseppe Di Dalmazi che dall’altra parte della strada l’aspettava dopo la scuola, è il marito di Maria Luisa Di Fiore, Vincenzo Franciosa, a riaccendere i riflettori sulla tragedia che il 17 ottobre scorso, in viale della Riviera, ha colpito lui e i suoi tre figli. E come prima cosa si appella all’automobilista che ha assistito allo schianto di quel giovedì sera, poco prima delle 22, quando la moglie, con il cagnolino al guinzaglio, è stata travolta da una Ford Fiesta a tutta velocità che poi è fuggita.

«L’inchiesta è stata chiusa», dice Franciosa, assistito dall’avvocato Sandro Cutone, «c’è la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti del ragazzo che il giorno dopo andò a costituirsi dai carabinieri di Montesilvano, ma io voglio sapere di più. Da quello che dice un testimone erano due le persone dentro, un uomo e una donna. Perché però lei non appare nell’inchiesta? E soprattutto, chi mi garantisce che il responsabile sia davvero il ragazzo che è andato a costituirsi, un ragazzo di 21 anni incensurato? Quella macchina risulta intestata a un polacco residente nel Napoletano, era stata vista sfrecciare diverse volte quel giorno lungo la riviera, ma anche lui non viene menzionato in alcun modo. È per questo che cerco l’automobilista che procedeva verso sud, nella direzione opposta a quella Fiesta, e che si era fermato dietro la macchina che ha fatto attraversare mia moglie. Dopo l’incidente mi venne vicino, avrà avuto sui 40-50 anni, credo avesse un Suv grigio, mi disse che era disponibile a testimoniare. Ma in quei momenti ero preso dai soccorsi e da tutto quello che era appena successo, l’ho perso di vista. È a lui che mi appello, di farsi vivo, di contattarci tramite il giornale. La sua testimonianza è fondamentale».

Non si dà pace Vincenzo Franciosa, di Scapoli, paesino in provincia di Isernia da dove la mattina di quel giovedì 17 ottobre era partito per Pescara con la moglie (titolare dell’impresa edile di famiglia) e il figlio. «A Pescara e a Chieti, all’università, studiano le figlie più grandi. Eravamo venuti a conoscere i loro fidanzati. A pranzo eravamo stati con una figlia al centro commerciale e la sera dovevamo cenare tutti insieme, anche con il fidanzato dell’altra. Mia moglie era celiaca, avevamo deciso di tornare in un locale dov’eravamo stati anche in estate, da Pipè, di fronte a Baya Papaya, sul lungomare. Avevamo trovato parcheggio nella strada parallela alla riviera, (in viale Kennedy ndr) e da lì abbiamo raggiunto il locale. Stavamo aspettando l’altra figlia, ma intanto nella pizzeria ci avevano detto che il cagnolino non poteva entrare e a quel punto, d’accordo con gli altri, sono andato a riprendere la macchina per parcheggiarla sulla riviera davanti al locale, in modo da lasciarci il cane e controllarlo meglio».

Franciosa va a riprendere la macchina lasciata più o meno davanti al liceo artistico, all’angolo con via Cadorna, e procedendo verso nord svolta a destra, su via Solferino, e riprende il lungomare in direzione sud, verso il locale di fronte a Baya Papaia. «Mentre guidavo in direzione sud», riprende Franciosa, «ho visto mia moglie ancora sul marciapiede lato monti, venti metri più avanti, che portava il cane a passeggio. Era vicino all’aiuola. Intanto ho trovato un posto proprio davanti al ristorante. Una volta sceso, mi sono messo dietro la macchina ferma. Con mio figlio piccolo e la grande non sapevamo se entrare o meno. Ho telefonato all’altra figlia, non avevo capito che stava parlando con la sorella. Ecco, in questi frangenti, mentre stavano parlando al telefono abbiamo visto sfrecciare quella macchina. Non so quanto camminava, non sono riuscito a vedere chi la guidava, ma mi sono girato e l’ho seguita con lo sguardo. “Dove diavolo va” ho pensato. E ho sentito un botto. In un primo momento ho pensato che avesse preso qualche macchina in sosta, ma nel momento in cui le auto che venivano dall’altra parte si fermavano ho visto il nostro cane che tornava verso di noi. Questa è Maria Luisa ho pensato, sono corso e l’ho trovata a terra. La macchina l’ha presa alla fine delle strisce pedonali, quando era già con una gamba sul marciapiede lato mare. L’ha presa con lo spigolo del faro. Se fosse andata più piano l’avrebbe presa con lo specchietto e buttata a terra. Invece così, senza rallentare, l’ha travolta e trascinata per venti metri. Dopo il botto ho visto gli stop che si accendevano, poi la retromarcia e la macchina che ripartiva. Un testimone ci ha detto che c’erano due persone dentro».

Momenti drammatici, in cui l’unica cosa che conta è salvare Maria Luisa, in condizioni gravissime. Arriva il 118, e la polizia municipale che fa i rilievi è rapida a controllare le telecamere del Comune e a individuare la targa e il modello di quell’auto in fuga. Allertano la polizia e di lì a poco è una volante a trovare quella macchina nera chiusa a chiave, ammaccata sul lato destro e con il vetro in frantumi, con targa polacca, in via Livenza, dove un’altra testimone dice poi di aver visto due persone scendere e scappare in mezzo alla pineta. «Il giorno dopo un ragazzo romeno di 21 anni è andato a costituirsi, la macchina è stata dissequestrata poco dopo e le indagini sono state chiuse in meno di venti giorni, mentre i miei figli sono stati condannati a vivere senza la madre e io senza mia moglie. Almeno», chiede Franciosa, «che sia fatta giustizia per Maria Luisa, aiutatemi».