PESCARA
Vince la paura del virus, dona il midollo e salva un malato di leucemia
Un eroe senza camice: un 39enne di Montesilvano, papà di due bambini, ha restituito la speranza a uno sconosciuto
PESCARA. Il gesto d’amore più puro, quello compiuto verso una persona di cui non si saprà mai nulla, se non di avergli salvato la vita. In questi giorni di paura legata alla pandemia da coronavirus, la scelta di un uomo di 39 anni ci racconta una storia diversa, fatta di altruismo oltre ogni confine. E’ la storia di un marito e papà di due bambini piccoli che vive con la sua famiglia a Montesilvano e che nella vita ha deciso di non tirarsi indietro davanti alla sofferenza degli altri.
E’ un uomo abituato a donare il sangue come donatore Fidas, ma è anche un donatore di midollo osseo iscritto all’associazione Admo Abruzzo. Una scelta fatta a suo tempo, che si è trasformata in un atto reale pochi giorni fa, nell’ospedale di Pescara, in piena emergenza Covid-19.
IL PRELIEVO Sottoponendosi al prelievo delle cellule staminali da sangue periferico, questo giovane abruzzese ha salvato la vita di un malato di leucemia di cui non conosce neppure il nome. Un atto di completo altruismo in un periodo di grande diffidenza verso l’altro. Ma qual è l’identikit di questo sconosciuto donatore volontario? Lo abbiamo chiesto a Cecilia Passeri, responsabile del Centro Prelievi di cellule staminali di Pescara che opera all’interno del Centro Trasfusionale diretto da Patrizia Accorsi. Insieme all’infermiere Fabrizio Raccomandato, la Passeri ha eseguito la raccolta delle cellule staminali per il trapianto.
«Il donatore, molto spesso, si è iscritto al registro da giovane, magari appena compiuti i 18 anni, quando ci si sente forti e invincibili. Questi giovani sarebbero pronti da subito, ma gli viene spiegato che la possibilità di essere chiamati è più bassa di quella di vincere al SuperEnalotto. Allora, ragazzi e ragazze ripongono la loro schedina in un cassetto in attesa di una chiamata che forse neppure arriverà. Invece un giorno, quando non ci si pensa più, arriva proprio quella chiamata: la schedina giocata tanti anni prima è quella vincente».
HA FAMIGLIA E LAVORO Il nostro donatore non è più un giovane ragazzo. Adesso ha una famiglia, un suo lavoro, le sue scelte condizioneranno anche la vita di chi gli sta accanto. Tanto più se la chiamata avviene nel bel mezzo di una pandemia, quando nessuno vuole uscire di casa, tantomeno se si tratta di andare in ospedale.
«Proprio mentre tutto il mondo sta con il fiato sospeso per via del Covid-19», continua la dottoressa, «da qualche parte c’è un bambino, o forse una mamma, un papà o una giovane ragazza con una grave malattia ematologica, in attesa di un trapianto, in attesa che un donatore sconosciuto dica: “Sì, eccomi”. E questa è stata la risposta che ha dato il giovane di Montesilvano».
Il nostro donatore per poter dire “sì” ha scelto di recarsi per più giorni e più volte al giorno (come prevede il protocollo per la raccolta delle cellule staminali) in ospedale. Ha scelto di correre il rischio di avere un evento avverso, legato alla terapia di preparazione o alla donazione stessa che, seppur in rari casi, come gli è stato spiegato, può accadere.
Nell’epoca del #iorestoacasa, è dovuto uscire e ha dovuto lottare contro la paura di ammalarsi e di contagiare i suoi figli piccoli o sua moglie. Eppure, quel “sì” lo ha detto e le sue cellule staminali sono partite alla volta di un paziente in attesa di una grande speranza, quella di ricominciare a vivere. E l’entusiasmo dei sanitari per una vita salvata, si unisce all’affetto spontaneo per chi lo ha reso possibile.
EROE SENZA CAMICE «E’ successo a Pescara che un eroe senza camice, senza divisa e senza uniforme, nel silenzio ha compiuto il suo atto d’amore», conclude l’esperta, «mentre il mondo è impegnato a combattere il coronavirus, c’è chi con coraggio porta avanti la missione che gli è stata assegnata. Grazie, donatore. Rimarrai sconosciuto al mondo, ma a noi che ti abbiamo guardato negli occhi hai lasciato un grande insegnamento. Un giorno racconterai ai tuoi figli: “Anche papà, al tempo della pandemia, ha salvato una persona”».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
E’ un uomo abituato a donare il sangue come donatore Fidas, ma è anche un donatore di midollo osseo iscritto all’associazione Admo Abruzzo. Una scelta fatta a suo tempo, che si è trasformata in un atto reale pochi giorni fa, nell’ospedale di Pescara, in piena emergenza Covid-19.
IL PRELIEVO Sottoponendosi al prelievo delle cellule staminali da sangue periferico, questo giovane abruzzese ha salvato la vita di un malato di leucemia di cui non conosce neppure il nome. Un atto di completo altruismo in un periodo di grande diffidenza verso l’altro. Ma qual è l’identikit di questo sconosciuto donatore volontario? Lo abbiamo chiesto a Cecilia Passeri, responsabile del Centro Prelievi di cellule staminali di Pescara che opera all’interno del Centro Trasfusionale diretto da Patrizia Accorsi. Insieme all’infermiere Fabrizio Raccomandato, la Passeri ha eseguito la raccolta delle cellule staminali per il trapianto.
«Il donatore, molto spesso, si è iscritto al registro da giovane, magari appena compiuti i 18 anni, quando ci si sente forti e invincibili. Questi giovani sarebbero pronti da subito, ma gli viene spiegato che la possibilità di essere chiamati è più bassa di quella di vincere al SuperEnalotto. Allora, ragazzi e ragazze ripongono la loro schedina in un cassetto in attesa di una chiamata che forse neppure arriverà. Invece un giorno, quando non ci si pensa più, arriva proprio quella chiamata: la schedina giocata tanti anni prima è quella vincente».
HA FAMIGLIA E LAVORO Il nostro donatore non è più un giovane ragazzo. Adesso ha una famiglia, un suo lavoro, le sue scelte condizioneranno anche la vita di chi gli sta accanto. Tanto più se la chiamata avviene nel bel mezzo di una pandemia, quando nessuno vuole uscire di casa, tantomeno se si tratta di andare in ospedale.
«Proprio mentre tutto il mondo sta con il fiato sospeso per via del Covid-19», continua la dottoressa, «da qualche parte c’è un bambino, o forse una mamma, un papà o una giovane ragazza con una grave malattia ematologica, in attesa di un trapianto, in attesa che un donatore sconosciuto dica: “Sì, eccomi”. E questa è stata la risposta che ha dato il giovane di Montesilvano».
Il nostro donatore per poter dire “sì” ha scelto di recarsi per più giorni e più volte al giorno (come prevede il protocollo per la raccolta delle cellule staminali) in ospedale. Ha scelto di correre il rischio di avere un evento avverso, legato alla terapia di preparazione o alla donazione stessa che, seppur in rari casi, come gli è stato spiegato, può accadere.
Nell’epoca del #iorestoacasa, è dovuto uscire e ha dovuto lottare contro la paura di ammalarsi e di contagiare i suoi figli piccoli o sua moglie. Eppure, quel “sì” lo ha detto e le sue cellule staminali sono partite alla volta di un paziente in attesa di una grande speranza, quella di ricominciare a vivere. E l’entusiasmo dei sanitari per una vita salvata, si unisce all’affetto spontaneo per chi lo ha reso possibile.
EROE SENZA CAMICE «E’ successo a Pescara che un eroe senza camice, senza divisa e senza uniforme, nel silenzio ha compiuto il suo atto d’amore», conclude l’esperta, «mentre il mondo è impegnato a combattere il coronavirus, c’è chi con coraggio porta avanti la missione che gli è stata assegnata. Grazie, donatore. Rimarrai sconosciuto al mondo, ma a noi che ti abbiamo guardato negli occhi hai lasciato un grande insegnamento. Un giorno racconterai ai tuoi figli: “Anche papà, al tempo della pandemia, ha salvato una persona”».
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