Silvio Baldini - Illustrazione di Manolo Fucecchi

L'INTERVISTA ESCLUSIVA DEL CENTRO

«Io sono una persona, non un personaggio»

Il tecnico del Pescara: «Vengo da una famiglia vissuta sulla Linea Gotica, di qua i fascisti, di là i comunisti. E un mio zio andava in giro con il mitra»

PESCARA - La forza della semplicità, l’uomo della porta accanto. Personaggio proprio perché non lo è. Controvoglia. L’uomo che fa sognare Pescara, Silvio Baldini, è dedito alla famiglia: alla moglie Paola e ai tre figli, la prima delle quali Valentina, disabile. Che si commuove quando parla della mamma. E che ieri mattina ha fatto visita alla redazione del Centro per conoscere il direttore Luca Telese. Ed è stata l’occasione per parlare. Poco di calcio, tanto di Pescara e del Pescara, molto della vita di tutti i giorni.

Baldini, perché passa per essere un filosofo?

Macchè, non me frega nulla di quello che pensano gli altri. Mi interessa quel che dice di me la mia compagna, i tre figli. E chi mi conosce e sa come la penso.

Perché la mia compagna? Non è sposato con la signora Paola?

Sì, ma dire mia moglie dà una sensazione di possesso che rifiuto. Mia non mi piace.

Ha avuto modo di bacchettare più volte il mondo del calcio?

Un mondo finto, in gran parte ignorante. Che pensa solo a far soldi. E popolato anche da lestofanti.

Lei invece?

Sono come mi vedete, non dico alcune cose con l’obiettivo di piacere a chi mi ascolta. Sono una persona semplice.

Ovvero?

Vivo sperando che accada ciò che immagino, quel che sento possa accadere. Ma affinché accada mi devo impegnare.

Il famoso sogno legato al Pescara?

Mi sento una cosa e mi adopero, quindi lavoro per fare in modo che si verifichi. Anche quando sono tornato a Palermo (dicembre 2021, ndr) mi sentivo che saremmo andati in B. Lo dissi quando arrivai, mi presero per matto. E fummo promossi ai play off. All’inizio non c’era nessuno allo stadio, alla fine facevamo sempre 40.000 spettatori. Facemmo anche il record di presenze al Barbera contro la Feralpisalò.

Come mai? Perché i tifosi rosanero occuparono anche il settore ospiti che aveva solo sei tifosi. Quel record non me lo toglie nessuno. Sa cosa accadde la sera prima della finale play off contro il Padova?

Prego.

Con me non si fa ritiro prepartita. La sera prima mangiammo insieme e poi ognuno nelle proprie abitazioni. Io alle 11 di sera andai a Mondello a mangiare. Mi fermarono i tifosi. Mi chiesero: “mister, ma è qui? Domani si gioca”, “Tranquilli, tutto a posto. C’è solo da gustarsi lo spettacolo allo stadio”.

E andò bene.

Me lo sentivo che andava tutto bene. Ero certo, perché avevo visto che la squadra la pensava come me e infatti vincemmo.

Alle ultime elezioni ha votato...

Non sono andato alle urne. Di solito voto per un amico, di destra o di sinistra che sia. Non voto per l’idea, ma per la persona di cui mi fido.

Le sue radici?

Nonno dalla parte di mamma fascista, nonno dalla parte di papà comunista. Se ne dicevano di tutti i colori. Il 25 aprile è finita la guerra, ma poi gli strascichi li abbiamo vissuti per anni. Anche dalle parti mie sulle Alpi Apuane, lungo la Linea Gotica.

Cosa ricorda in particolare?

Mio zio era un fedelissimo di Salò, lo presero e lo misero a testa in giù. Da allora andava in giro armato, uno che ha avuto una forte influenza sulla mia formazione personale. Poi, molto hanno fatto i miei professori a scuola. Sa qual è il problema dei giovani di oggi? Non ci sono più gli insegnanti di una volta.

E cosa si può fare?

Nel calcio accade che Fagioli e Tonali si annoino nel tempo libero e finiscano nel mondo delle scommesse online. Suvvia, dateli a me. Vedrete che non si annoiano. Diamo ai ragazzi da lavorare, poi vedrete che imboccheranno la strada giusta. Con me hanno poco tempo libero… 

Fa lavorare tanto.

Sì, ho dei ragazzi meravigliosi che mi seguono perché hanno la cultura del lavoro ereditata dalla gestione Zeman. Che non finirò mai di ringraziare.

La sua carriera è stata marchiata da quel calcio nel sedere al collega Di Carlo in un Parma-Catania.

Sì, mi dispiace perché ne ha sofferto la mia famiglia. Ne ha sofferto la donna con cui ho fatto tre figli che si rammarica del fatto che è emersa un’immagine sbagliata del sottoscritto. A me non importa niente. Sto male perché i miei stanno male.

Ma come andò quel pomeriggio dell’agosto 2007?

Niente di particolare. Solite scaramucce a bordocampo. Noi (del Catania, ndr) eravamo in dieci, si era nervosi, è volata qualche parola di troppo ed è successo quel che può accadere in qualsiasi posto di lavoro. Ho sbagliato, per carità. E domenica non ho alcun problema a stringere la mano a Di Carlo.

Già, Ascoli-Pescara.

Sì, un derby molto sentito. E dopo 17 anni chi ritrovi? Di Carlo. Non succede mai nulla per caso.

Che significa?

Che ognuno è artefice di se stesso. Se sbaglio è colpa mia, non della sfortuna.

È arrivato in una piazza in piena contestazione verso il presidente Daniele Sebastiani.

Le racconto un aneddoto. Prima di Terni (prima giornata di campionato, ndr) c’è la riunione. Ogni mese il presidente raduna i suoi collaboratori per farsi relazionare. Ognuno dice la sua e poi chiude lui. E fa un discorso tipo che nel calcio si può anche perdere, l’importante è non andare in tilt. Ho pensato: questa è musica per le mie orecchie. Ripeta presidente, per favore. E mi son detto: sono capitato nel posto giusto.

Ovvero?

L’ho detto: qui è come dalle mie parti. In un’ora sei dal mare alla montagna e viceversa. Uno di questi giorni devo andare a Roccaraso a fare una passeggiata. In montagna trovo le risposte al mio modo di essere.

Perché? È il posto dove sono più vicino a Dio. Nei boschi mi portava mia madre (e qui gli occhi diventano lucidi) a prendere funghi e mi raccontava le favole. La fatina di notte che si trasforma nel fungo buono alla mattina. Gli gnomi e così via.

Chi altro ha influenzato la sua crescita?

Gino il boscaiolo, un uomo del 1897. Mi dava insegnamenti, mi diceva di studiare e mi sconsigliava di fare il suo mestiere. E io gli chiesi: a llora perché tu lo fai? Perché – mi rispose – mi sento libero. In effetti, nel bosco immerso nel silenzio uno si sente libero.

Silvio Baldini con il direttore del Centro, Luca Telese, ieri in redazione (foto Giampiero Lattanzio)

Ma come ci è arrivato a Pescara?

Mi chiamarono prima che andassi al Crotone (febbraio scorso, ndr). Una telefonata interlocutoria in attesa di risentirci. Nel frattempo, si fece avanti il Crotone e chiusi. Andò male. E qualche mese fa dissi a mio figlio Mattia, che è nello staff e che ambisce a fare questo mestiere, che era ora di trovarsi un altro lavoro, perché era difficile che qualcuno mi chiamasse dopo le dimissioni di Perugia e Crotone. Figurarsi poi uno con la mia nomea. “Giusto il Pescara mi può chiamare”, gli dissi.

Una premonizione.

E infatti di lì a poco telefonò Delli Carri, il quale mi ha poi raccontato che aveva parlato prima con Tesser e poi con il tecnico della Giana Erminio, Chiappella. Solo che con Tesser non si mise d’accordo e Chiappella aveva firmato un biennale con la Giana Erminio il giorno prima della chiamata di Delli Carri. Quindi, ha contattato Baldini.

Pronti via, il giorno della presentazione il ds che l’ha voluto a Pescara, Daniele Delli Carri, si è dimesso.

Sì, ma io ho pensato solo a lavorare.

Proverbiali le sue stoccate ai procuratori.

È una categoria che mi detesta e io ricambio. Me ne hanno detto di tutte e a me non garbano.

Questione di comunicazione?

Parliamone, che significa comunicazione? Io parlo per farmi capire, per inviare un messaggio. O trasferire un’idea. E per riuscirci devo stare attento a chi ho di fronte. A seconda di chi ho davanti mi esprimo. L’80% del mondo del calcio è ignorante. Non ha cultura. Non sa, non conosce. Bada solo a come arraffare i soldi. Ma i soldi non sono miei, facessero pure…

Il suo passato da calciatore?

Da dilettante, niente di che.

Come mai ha deciso di fare l’allenatore?

Mi ha fatto innamorare di questo mestiere Adriano Buffon, il papà di Gigi. A volte dopo gli allenamenti andavo a mangiare a casa sua. E c’era questo bambino di 5 anni che giocava a pallone in casa. Il papà diceva: deve fare i ruoli di movimento fino a 10 anni, poi ha il fisico del portiere, andrà tra i pali.

Il suo sogno?

A 66 anni un mio sogno? Lo conoscete. In passato mi sarebbe piaciuto allenare l’Under 21, ma, niente, non se n’è mai fatto nulla. Nel calcio come nella vita servono i contenuti, non l’immagine.

Lei è un cacciatore, in Abruzzo la Regione ha ordinato l’abbattimento dei cervi. D’Accordo?

No, mai sparerei a un cervo. No, mi dà la sensazione di un bambino indifeso. No, non sono d’accordo.

(1/2 segue domani)

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