Bimbo nato morto, la Procura: «Nessuna responsabilità medica». Chiesta l’archiviazione per i sette indagati

Secondo l’autopsia il decesso del neonato fu causato da un problema riconducibile alla placenta, ma la famiglia fa opposizione
TERAMO. I passaggi dei fascicoli giudiziari scandiscono tragedie che con il tempo possono solo diventare più dolorose. Come quella di una mamma e di un papà che da due anni piangono il loro bambino nato morto. Dopo una consulenza tecnica e una recente integrazione dello stesso accertamento, la Procura (pm titolare del fascicolo Francesca Zani) ha chiesto l’archiviazione per i sette indagati per omicidio colposo, tra medici ed ostetriche dell’ospedale Mazzini.
Secondo la Procura non sono emersi profili di responsabilità medica, o di altro personale, né atti di negligenza. Richiesta, quella dell’archiviazione per il personale sanitario, a cui si oppongono i genitori rappresentati dall’avvocato Gennaro Lettieri. Ora, dunque, l’ultima parola spetta al gip che dovrà decidere se archiviare, come chiede la Procura, o disporre nuove indagini e accertamenti, come chiedono i familiari nel loro atto di opposizione. L’autopsia, eseguita all’epoca dal medico legale Cristian D’Ovidio, ha stabilito che il piccolo è nato morto e che la causa è riconducibile a un problema acuto alla placenta della madre.
Successivamente al deposito di questa consulenza e a quella presentata dal consulente nominato dai familiari, il sostituto procuratore aveva deciso di chiedere un ulteriore e più completo accertamento con la formula dell’incidente probatorio: strumento che consente a tutti, indagati e parte offesa, di essere presenti con un proprio consulente a tutte le operazioni peritali, ma la richiesta della perizia è stata respinta dal giudice. Proprio successivamente a questo, la Procura ha disposto un’integrazione di consulenza allo stesso D’Ovidio alla riconsegna della quale ha fatto richiesta d’archiviazione per i sette indagati. Oltre all’inchiesta dell’autorità giudiziaria, sul caso ci fu anche una interna disposta dalla stessa azienda sanitaria.
All’epoca a raccontare i momenti della drammatica vicenda furono gli stessi genitori in una lettera inviata al Centro. Secondo questa ricostruzione la donna, arrivata alla 41esima settimana di gestazione, quel giorno era entrata in ospedale intorno alle 14.30 dopo aver avuto le prime contrazioni e intorno alle 15 le era stato fatto un tracciato da cui risultava che il cuore del piccolo batteva. Poi aveva accusato forti dolori e perdite di sangue. Alle 19.10 un nuovo tracciato aveva rivelato che non c’era più battito e la donna era stata portata in sala parto per un cesareo d’urgenza. Ma per il piccolo non ci fu niente da fare.
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