Scontro sulla riapertura dell’inchiesta
L’avvocato di uno degli indagati accusa: «Indagini ripetitive, niente di più di quello che hanno già fatto i tre pm»
TORTORETO. Punge come un colpo di fioretto quando dice: «Prendiamo atto che le indagini suppletive disposte appaiono, sostanzialmente e perlopiù, ripetitive di quelle compiutamente disposte dai pm che hanno ritenuto infondata la notizia di reato». Il giorno dopo la riapertura dell’inchiesta sulla morte di Giulia Di Sabatino, la 19enne di Tortoreto precipitata da un cavalcavia dell’A14, così accusa l’avvocato Cataldo Mariano, difensore di quello che per la cronaca è diventato il ragazzo della Panda rossa, l’ultimo ad aver visto la giovane viva. «Il gip», dice il legale, «ordinando quelle che ritiene essere nuove indagini, ha ritenuto incomplete quelle in parte effettuate da ben tre validi pm ed in altra da questi ultimi delegate ai loro numerosi ausiliari nell’arco di ben due lunghi anni». E ancora: «Prendiamo atto che ha rigettato i due atti di indagine richiesti dalle persone offese (interrogatorio dell’indagato e perizia psichiatrica) dei quali avevamo eccepito la non pertinenza, l’irrilevanza e l’inammissibilità».
A quasi due anni dalla morte di Giulia, il gip Domenico Canosa ha respinto la richiesta d’archiviazione presentata dalla Procura (che ha indagato per istigazione al suicidio) disponendo nuove indagini per ricostruire il prima e il dopo di quella drammatica notte. Lo ha fatto accogliendo l’opposizione dei genitori della ragazza (assistiti dall’avvocato Antonio Di Gaspare) che non hanno mai creduto all’ipotesi del suicidio. Il giudice che, nella sua articolata ordinanza più volte sottolinea «la copiosità di contributi tecnici e orali acquisiti dai pm», ha chiesto che vengano sentiti ex novo decine di testi e risentiti altri, tutti nella loro veste di persone informate sui fatti. E non solo. Si è soffermato anche sulla necessità di ampliare gli accertamenti sul brecciolino trovato sotto le scarpe della ragazza, di acquisire le immagini riprese da un tutor installato nelle vicinanze del punto in cui la giovane precipitò nel vuoto e di verificare nuovamente alcuni contatti telefonici tra la ragazza e i tre indagati. Si tratta del 25enne finito nelle cronache come l’uomo della Panda rossa, l’ultimo ad aver visto la ragazza viva e ad aver avuto un rapporto sessuale con lei quella notte; dell’uomo con lo scooter che quella sera le diede un passaggio per un tratto di strada e del ragazzo nel cui telefonino sono state trovate immagini osè della 19enne (quest’ultimo indagato per pedopornografia nell’inchiesta aperta dalla distrettuale antimafia dell’Aquila competente per il tipo di reato).
©RIPRODUZIONE RISERVATA
A quasi due anni dalla morte di Giulia, il gip Domenico Canosa ha respinto la richiesta d’archiviazione presentata dalla Procura (che ha indagato per istigazione al suicidio) disponendo nuove indagini per ricostruire il prima e il dopo di quella drammatica notte. Lo ha fatto accogliendo l’opposizione dei genitori della ragazza (assistiti dall’avvocato Antonio Di Gaspare) che non hanno mai creduto all’ipotesi del suicidio. Il giudice che, nella sua articolata ordinanza più volte sottolinea «la copiosità di contributi tecnici e orali acquisiti dai pm», ha chiesto che vengano sentiti ex novo decine di testi e risentiti altri, tutti nella loro veste di persone informate sui fatti. E non solo. Si è soffermato anche sulla necessità di ampliare gli accertamenti sul brecciolino trovato sotto le scarpe della ragazza, di acquisire le immagini riprese da un tutor installato nelle vicinanze del punto in cui la giovane precipitò nel vuoto e di verificare nuovamente alcuni contatti telefonici tra la ragazza e i tre indagati. Si tratta del 25enne finito nelle cronache come l’uomo della Panda rossa, l’ultimo ad aver visto la ragazza viva e ad aver avuto un rapporto sessuale con lei quella notte; dell’uomo con lo scooter che quella sera le diede un passaggio per un tratto di strada e del ragazzo nel cui telefonino sono state trovate immagini osè della 19enne (quest’ultimo indagato per pedopornografia nell’inchiesta aperta dalla distrettuale antimafia dell’Aquila competente per il tipo di reato).
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