Corso e la fantasia del calcio dorato
Era l’ultimo nome di una cantilena che i ragazzi degli anni ’60 avevano imparato a recitare tutta d’un fiato, senza interruzioni Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Peirò, Suárez, Corso. Era la formazione della grande Inter allenata da Helenio Herrera e lui era Mariolino Corso, il numero 11 che allora, quando le cifre cucite sulle magliette avevano ancora un senso, significava che giocava nel ruolo di ala sinistra. È tramontato da tempo quel mondo e quel calcio di cui fu protagonista Corso, morto ieri a 79 anni. Veronese, Corso giocò anche in Nazionale portando a spasso per i campi del mondo l’aria di chi era capitato per caso a dare calci a un pallone. Il destino sceglie spesso per ciascuno di noi un gesto – uno solo – a cui delegare effimere speranze di immortalità. Per lui quel gesto fu il tiro a foglia morta, quello che dà al pallone una traiettoria a parabola che inganna i portieri. Era un malinconico, Mariolino Corso, che interpretava il calcio con svogliatezza, colorando però a tratti la grigia tela di una partita con scaglie di dorata genialità. Chi non lo ha mai visto giocare ignora cosa fosse, un tempo, il gioco del pallone. Quando gli italiani erano poveri e affamati, come lui, di pane e della fantasia che, sola, dà sapore alla vita.
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