Chiude la Porta Santa aspettando il giubileo

Cialente colpito dalle immagini choc dei bambini morti nel Mediterraneo «Tragedie in cui la nostra civiltà perde, dobbiamo tutti chiedere perdono»

L’AQUILA. La Porta Santa chiude a ridosso delle 20, ma l’accesso ai fedeli viene precluso una decina di minuti prima, lasciando qualcuno fuori a dover rimandare l’appuntamento con l’indulgenza. «È per questo che il buon Celestino chiedeva di lasciarla aperta per otto giorni», ricorda Floro Panti a due passi dal sagrato. Ma chi non ce l’ha fatta non dovrà aspettare molto: per dirla con le parole dell’arcivescovo Giuseppe Petrocchi, la 721esima Perdonanza al giubileo della Misericordia, al via l’8 dicembre, c’è un ponte i cui pilastri sono quelli di Celestino e Papa Francesco. L’arcivescovo sa di parlare ai fedeli di una città stanca e ferita che ha appena vissuto una delle sue settimane più controverse di questi anni del post-sisma.

Dalle tensioni politiche, alle proteste a margine della visita di Matteo Renzi, dalle manganellate ai sampietrini, con scene che all’Aquila non si ricordavano dai “moti” per il capoluogo del ’71, G8 compreso. Ma è proprio da questa consapevolezza che nasce l’invito a mettere davanti perdono e misericordia «per lottare contro l’egoismo, la menzogna e la sopraffazione, perché questa è l’unica battaglia che vale la pena combattere».

Da una parte il racconto del Vangelo, con Erodiade che sfrutta il fascino di Salomè per imporre la sua volontà su Erode a far uccidere Giovanni Battista, dall’altra la forza di un messaggio di unità, giustizia e pace. E L’Aquila viene vista come una coppia in crisi, una delle tante che in passato ha aiutato con percorsi religiosi. Cita passaggi tratti dalle letture, di Paolo e del profeta Geremia, quest’ultima declamata dal giornalista del Centro, Vittorio Perfetto, per ribadire l’importanza del dialogo e dell’armonia.

«QUEI BIMBI NELLE FOTO». Ma l’edizione di quest’anno, che a novembre entrerà nel Patrimonio Immateriale dell’Unesco, è anche quella dell’integrazione. Non si poteva scegliere tema più attuale, visto che le ferite di questo scontro di civiltà le vediamo ogni giorno anche sulle nostre coste. Come ha fatto domenica, all’accensione del tripode di San Bernardino, il sindaco Massimo Cialente, affronta di nuovo questa tragedia, stavolta facendo riferimento alle immagini choc dei bambini morti sulla spiaggia postate su Facebooknegli ultimi giorni. «Queste foto così atroci stridono quando scorrono sui social network in mezzo a un flusso in cui ciascuno di noi inserisce le immagini del quotidiano, con i nostri bambini che festeggiano un compleanno, o vanno in gita. È un contrasto troppo forte, una contraddizione troppo grande di cui siamo tutti colpevoli. Non possiamo chiudere le nostre porte a gente che lascia la propria terra per sfuggire a morte certa, e quindi solo nella speranza di dare un futuro a sé stessi e ai propri cari».

«Di fronte a questo», riprende il primo cittadino, «non dobbiamo mettere un muro, ma un portale, come quello della Perdonanza». Cita De André e quel suo «anche se voi sarete assolti, siete lo stesso coinvolti», per rimarcare «che tutti noi dobbiamo chiedere il perdono di fronte a quello che è successo: una città come la nostra, che tanto ha sofferto, può capire chi è costretto a lasciare casa e così la Perdonanza diventa un giubileo dell’accoglienza». Tra i celebranti anche il vescovo emerito Giuseppe Molinari.

Poi il corteo di chiusura, col ritmo scandito dagli sbandieratori e il rientro verso la basilica di San Bernardino.

Fabio Iuliano

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