Il centro antiviolenza: «Amarezza sul caso Tuccia»
L’avvocato Giannangeli: «Il problema non è il ritorno al lavoro di un condannato ma come vengono affrontati in Italia i casi legati a vicende di questo genere»
L’AQUILA. «Grande amarezza». Così Simona Giannangeli, legale aquilana che insieme a Maria Claudia Ruggieri del Foro di Teramo ha rappresentato il Centro antiviolenza, parte civile nel procedimento penale, commenta la decisione dei giudici di far tornare al lavoro, lasciando i domiciliari per 4 ore al giorno, l’ex militare Francesco Tuccia condannato in primo grado a 8 anni per violenza sessuale.
«La vicenda», spiega Giannangeli, «per noi è stato motivo di grande amarezza ma anche di rinnovata consapevolezza di come in questo paese vengono trattati i processi per stupro. Tuccia, tranne pochissimi giorni dopo i fatti, quando è stato in carcere, ha fatto i domiciliari da imputato e da condannato in primo grado. Non perché si invochi il carcere a tutti i costi, sia chiaro. Io», precisa Giannangeli, «da avvocata e cittadina dalla vocazione assolutamente garantista rispetto ai diritti di tutte le persone, osservo, però, che questa vicenda, oggi come allora, ci fa di nuovo riflettere. In presenza di reati commessi contro le donne, evidentemente, in un paese come questo, non sempre attento a tutelare i diritti delle persone, quando si tratta di certi tipi di reati, improvvisamente, ci troviamo davanti uno Stato con diritti, garanzie, tutele. E che oggi, dopo una condanna a 8 anni seppur in primo grado, permette di uscire a lavoro esterno. Da avvocata, in senso stretto, so che il codice prevede e permette determinate decisioni. Mi amareggia non che Tuccia faccia 4 ore di lavoro. Non è assolutamente rilevante ai miei occhi. Ma è l’ulteriore pezzo di una vicenda che mi riconferma con quanta tranquillità e disponibilità si affronti il problema da parte dello Stato, sia esso potere giudiziario, sia potere legislativo, quando interviene su abusi e violenze alle donne. In situazioni in cui l’”oggetto” offeso dal reato non è il corpo di una donna le attenzioni nei confronti dell’imputato o del condannato di primo grado non sono tali. Questo porta a un interrogativo: che valore hanno, in questo paese, il corpo e la vita delle donne perché ogni volta che vengono violati c’è una risposta dello Stato di grande attenzione nei confronti della persona che quel reato ha commesso. Ora Tuccia lavora e conduce una vita con le garanzie che uno Stato deve a chiunque, bene. Ma il mio pensiero va alla giovane studentessa che sta facendo tutta un’altra vita. Una vita che non ha deciso, con una prospettiva che non ha scelto e affronta ancora conseguenze gravissime, fisiche e psichiche, di quello che ha subìto e probabilmente non sta lavorando. Prendo atto di quel che accade in questo paese. Per quanto in primo grado, un condannato a 8 anni per violenza sessuale vede la sua vita quasi normalizzata. Non siamo tra quelli che dicono: Tuccia se ne stia in carcere. Ma la vicenda faccia riflettere, operatori del diritto e non, su come a tutti i livelli vengono trattate le vicende di stupro». L’avvocato della studentessa, Enrico Maria Gallinaro, afferma: «Preferisco non commentare». (e.n.)
©RIPRODUZIONE RISERVATA