Nessun mistero sulla morte di Celestino V, il giallo risolto all'Aquila
Il foro nel cranio praticato anni dopo il decesso del Papa eremita, la conferma dagli studi dell’anatomopatologo Ventura
L’AQUILA. «Il foro rinvenuto nel cranio di Celestino V è stato praticato molti anni dopo la sua morte, quando le ossa erano, per così dire, già secche». A confermarlo, dopo anni di studi, è stato Luca Ventura, anatomopatologo dell’ospedale San Salvatore, segretario del comitato scientifico del Gipaleo, gruppo italiano di paleopatologia, e organizzatore del secondo meeting dell’associazione, che si è svolto ieri all’auditorium del Parco. Per l’occasione si sono riuniti in città i maggiori esponenti della paleopatologia italiana, provenienti da circa 25 istituti in 15 sedi differenti. «Abbiamo effettuato da non molto la ricognizione del corpo di Celestino, aggiungendo dati e dettagli riguardo al famoso foro sul cranio» ha spiegato Ventura, a margine della conferenza. «È stato confermato che si tratta di una lesione assolutamente post mortem, praticata probabilmente sull’osso già secco, neanche sul cadavere».
Due perizie sulla salma datate 1313 e 1888 rilevarono la presenza di un foro corrispondente a quello prodotto da un chiodo di dieci centimetri. «È difficile risalire al meccanismo che ha portato a questo evento, ma le ipotesi sono sostanzialmente due», ha continuato lo studioso. La prima riguarda la possibilità di un evento accidentale. «Per esempio, quando il corpo venne trafugato, potrebbe essere per errore caduto o nell’apertura della cassa, con un utensile appuntito, qualcuno avrebbe potuto danneggiare il cranio involontariamente», ha detto Ventura. «La seconda ipotesi, invece, riguarda la possibilità che il foro sia stato praticato con intenzionalità, comunque diversi anni dopo la morte di Pietro dal Morrone: Filippo IV di Francia, il Bello, aveva tutto l’interesse a demonizzare Bonifacio VIII, a cui per anni è stata addossata la colpa della lesione. Si può dunque ipotizzare che sia stato lo stesso governante o qualcuno per suo conto a far praticare il foro, con tale obiettivo». Durante il meeting si è fatto il punto anche sulle ricognizioni dei reperti di rappresentanti abruzzesi dell’osservanza francescana, come San Giacomo della Marca e il beato Timoteo da Monticchio. «Di quest’ultimo abbiamo studiato la tecnica di imbalsamazione che è paragonabile a quella dei sovrani aragonesi», ha aggiunto Ventura. «Applicando la tomografia computerizzata, l’istologia, lo studio del Dna si riescono a ricostruire nei minimi particolari le tecniche utilizzate in passato. Con l’applicazione delle più moderne tecnologie mediche si riescono a stabilire anche le tipologie delle malattie che affliggevano queste persone». In apertura del meeting, è stato consegnato un riconoscimento alla carriera al professor Gino Fornaciari dell’Università di Pisa, coordinatore del Gipaleo, nonché pioniere e decano della paleopatologia moderna, in occasione del suo congedo dall’attività istituzionale. L’evento è patrocinato dall’Ordine dei medici e dalla Società italiana di anatomia patologica e citologia diagnostica, con il sostegno del McDonald e dell’ottica Vincenti.
Michela Corridore
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