Cascella, l’artista che catturò la pietra

17 Maggio 2009

Pietro e le sue radici, un anno fa la morte del più celebre scultore del Novecento

«Potevi essere andato a Firenze o a Londra, aver visto cose meravigliose a Parigi, ma quando tornato a Pescara andavi giù per via Marconi a Porta Nuova, a pochi minuti dal fiume, e cominciavano ad apparire i mattoncini della casa dei Cascella, allora il viaggio di ritorno che avevi appena fatto prendeva il senso vero: l’appartenenza a quel luogo, non perché fosse bellissimo, ma perché quella dimora, così legata alla nostra famiglia, trasmetteva invisibili onde di nostalgia».

 Pietro Cascella, scomparso il 18 maggio 2008, giusto un anno fa, è stato un uomo fortunato: ha sempre fatto il mestiere che amava. E’ stato forse il più grande scultore del Novecento, popolare come pochi della sua generazione. Era nato qui a Pescara, ottantotto anni fa, come suo padre Tommaso, suo nonno Basilio, suo fratello Andrea e altri Cascella, la famiglia abruzzese più ricca di talenti artistici del secolo scorso.

 Difficile elencare le sue tappe, i suoi successi, da quando, giovanissimo, si avvicina alla pittura seguendo la formazione artistica del padre. Per approfondire le sue conoscenze nel 1938 va a Roma e si iscrive all’Accademia di Belle Arti, ventenne partecipa alla Quadriennale e nel 1948 è invitato alla prima Biennale di Venezia del periodo post-bellico. E’ la stagione in cui, insieme al fratello Andrea, diventa scultore, prima in ceramica poi definitivamente in pietra, la sua materia: «La vera scultura è di pietra, nella pietra è insito il desiderio primordiale dell’uomo di eternizzare, di trasmettere un messaggio ai posteri», sosteneva.

 E con la pietra realizza le sue opere di grande formato, spesso improntate a una profonda sensibilità civile. Nel 1958 concepisce insieme al fratello il progetto per il monumento di Auschwitz, che sarà realizzato nove anni dopo su un nuovo disegno interamente ideato da Pietro, sarà la sua «laurea di scultore», gli piaceva ripetere. Protagonista di molte personali in Italia e all’estero, Cascella realizza negli anni ’70 opere di grande importanza, come l’Arco della Pace di Tel Aviv, l’Omaggio all’Europa a Strasburgo, il monumento a Giuseppe Mazzini a Milano, Bella Ciao a Massa.

 Tra le sculture monumentali degli anni ’80 vi sono invece Cento Anni di lavoro allo stabilimento Barilla di Parma e la piazza di Milano Tre. Nel decennio successivo realizza il monumento della Via Emilia a Parma, la Porta della Sapienza a Pisa, l’Ara del Sole a Ingurtosu in Sardegna, il Teatro della Germinazione nel Parco Nazionale d’Abruzzo, il monumento ai caduti di Marcinelle a Manoppello.

 La sua Pescara, però, è rimasta nel cuore del suo interesse e al centro delle sue emozioni mai sopite, anche con l’andar degli anni. La «casa» dei Cascella che a Pietro suscitava nostalgia, oggi è un museo dedicato a Basilio il capostipite, dove entri quasi in punta di piedi e hai come l’impressione che il Maestro stia al piano di sopra, chiuso nel suo atelier a dipingere. Quasi tutto è rimasto com’era, con i suoi tesori, un patrimonio straordinario dove appaiono insieme cinque generazioni di Cascella. E’ una mostra permanente tutta speciale.

 Pietro Cascella viveva con la moglie Cordelia Von Den Steinen, anch’essa scultrice, e con il figlio Jacopo (pittore) nel castello della Verrucola a Fivizzano, in provincia di Massa Carrara, ma sempre più frequentemente, nella fase conclusiva della carriera, tornava in questa città sulle sponde dell’Adriatico dalla quale emotivamente non si è mai staccato, «una città che riflette il nostro carattere, che ha contribuito a farci come siamo», diceva. E, quand’anche lontano, seguiva, s’informava, commentava, partecipava, s’indignava. Ma i suoi ritorni non sono stati solo un fatto sentimentale, in questi ultimi anni ha lasciato opere che non passano certo inosservate: la sua Agorà domina al centro del piazzale antistante il rettorato dell’Università D’Annunzio nel campus di Chieti e ne è diventata il simbolo; sul lungomare centrale di Pescara si possono ammirare, tra le altre, la Nave proiettata verso l’Adriatico e i fari con cui ha decorato la ristrutturata rotonda che ora si chiama largo Mediterraneo; a lui si deve il monumento ai caduti che domina piazza Garibaldi.

 Gli è mancato il tempo per portare a termine l’ultimo «affresco», il monumento di Pescara per sempre, quella «Porta sul mare» con la quale avrebbe voluto rappresentare l’anima antica della città, con i suoi pescherecci, e l’indole avveniristica, con tutto quel mare davanti che invita ad andare a vedere che cosa c’è dall’altra parte. Dopo la morte di Andrea, fratello e collaboratore, il 26 agosto del 1990, scrisse: «Siamo stati due vele della stessa nave, mio fratello e io. Ora sono rimasto solo, a tirare nell’ultimo vento forte il legno nella tempesta della vita. Sempre piu al largo. Dove la riva sta scomparendo».

 Le notizie di Pietro Cascella, le penultime, non discordano dall’immagine di severo fustigatore che resta di lui. Non aveva apprezzato - e voce quasi solitaria non lo aveva taciuto - l’idea di ospitare nella Piazza Salotto di Pescara il famoso calice dell’architetto giapponese Toyo Ito. Vedeva quell’opera «del sol levante» estranea alla città, un’intrusione. Non ha fatto in tempo ad avere la risposta.