De Cecco: chi fa pasta vive centotrent’anni
Da Fara San Martino alla Russia: la storia dell’azienda si intreccia con quella dell'Abruzzo
PESCARA. S’alza in volo ogni mattina dall'aeroporto di Pescara. E parte, l’elicottero, con la sua livrea dai colori sociali, blu e giallo in direzione di Fara San Martino, il loro paese. Ogni mattina, perché, sia chiaro, anche se i De Cecco vivono ormai a Pescara, il legame con le loro origini non lo hanno mai spezzato. Fara è rimasta sempre nel cuore. Come testimonia l'azienda. E come raccontano i palazzi storici di famiglia, quasi tutti impreziositi di dipinti del loro piccolo comune. Le radici.
Una storia lunga 130 anni. Una dinastia abruzzese che da più di un secolo esporta la "pasta della Fara" in tutto il mondo. Citata dalla Treccani già nel 1935 e oggi celebrata anche da un francobollo di Poste Italiane. La magia di acqua e semola nel segno della "donnina" è ormai secolare e il gruppo vale due grandi stabilimenti produttivi. Quello storico di Fara San Martino e il più giovane di Ortona, inaugurato nel 1997. Con un migliaio di dipendenti e un fatturato intorno ai 500 milioni di euro. Un grande gruppo, che ha conosciuto una crescita esponenziale già a metà degli anni '80 dello scorso secolo. Quando l'uomo al comando diventa Filippo Antonio De Cecco. Segnando uno spartiacque tra passato e futuro della storia. Della famiglia e dell’azienda. Capace di guidarla verso nuovi mercati, nuove tecnologie e nuovi prodotti - dall'olio ai sughi fino al bakery - e nuove impegnative scommesse.
Come l'acquisizione del gruppo pastaio russo Pmk nel 2011, con impianti a Mosca, Smolensk e San Pietroburgo, o l'inaugurazione nel 2013 di due nuove linee di produzione a Ortona, che hanno aumentato notevolmente la capacità produttiva. O, ancora, l'investimento edilizio sul sito pescarese del vecchio Molino, risalente al 1920, una riqualificazione urbana in cui svetta, dal 2007, la torre direzionale del gruppo De Cecco. Che non è il solo quartier generale, visto che il primo resta quello di Fara San Martino. Perché in casa De Cecco le origini sono fondamentali. Al punto da costituire il segreto di una ricetta miracolosa che da 130 anni è sempre la stessa.
Ecco dunque Filippo Antonio De Cecco. Ancora oggi, dopo più di 30 anni, il patron indiscusso di questa realtà industriale, costituita dalla Spa F.lli De Cecco di Filippo che controlla anche la Molino e Pastificio Deèp’ Cecco. Molti lo chiamano presidente, altri cavaliere, qualcun altro dottore per l’ancora fresca laurea ad honorem conferitagli dall'università di Teramo. Una vita dedicata all’azienda. Da vero capitano d'industria, lontano dalla mondanità, ma proprietario del Café Les Paillotes, ristorante stellato con annessa spiaggia e discoteca tra le più esclusive della città, ispirato allo stile delle isole Mauritius, dove De Cecco ama trascorrere le vacanze in una residenza di proprietà, e vicino alla villa sul mare del presidente.
Al suo fianco, alla testa del gruppo, ci sono gli amministratori delegati Saturnino e Giuseppe Aristide che rappresentano gli altri due rami di famiglia dall'albero genealogico molto complicato. Se il primo, il più giovane della governance-De Cecco, che è poi il socio di maggioranza, si occupa anche di una società di noleggio di elicotteri, il secondo ha investito invece nel settore delle costruzioni. Siedono, inoltre, nel consiglio di amministrazione, Giuseppe Adolfo De Cecco, forse il volto più noto al grande pubblico della dynasty pastaia, già presidente del Pescara Calcio, e alla testa anche delle società Molino e Pastificio De Cecco. E Giuseppe Alfredo De Cecco, uno dei vip italiani più affezionati della Sardegna. Entrambi, soprattutto, padri della nuova generazione dei De Cecco: Adolfo, musicista e cantante, e Giulio, appassionato di pesca subacquea, trentenni che hanno già fatto il loro ingresso in azienda.
Tutti uomini fino a qui. Perché le donne De Cecco, e ce ne sono tante di socie, non hanno mai seduto nei consigli di amministrazione del gruppo. Per una originaria previsione statutaria, forse, o magari per una consolidata prassi familiare. Così, paradosso di una storia lunga 130 anni, la "pasta della donnina" è alla fine roba da uomini. Almeno fino ad oggi. Con una sola eccezione, Giselda De Cecco, nipote del fondatore Filippo, che dal 1941 resse le sorti del pastificio mentre i fratelli e i cugini erano sotto le armi o in prigionia, riuscendo a rifornire di pasta il Vaticano ma anche ad approvvigionare i partigiani nascosti sulla Maiella. Sembra un secolo, ma la storia continua.