I ragazzi arrivano dal Canada per curarsi
PESCARA. Joe è originario di Toronto e per la seconda volta nella sua vita ha bussato alla porta della Laad per cercare di disintossicarsi. «Stavo malissimo, stavo per morire», racconta nel suo...
PESCARA. Joe è originario di Toronto e per la seconda volta nella sua vita ha bussato alla porta della Laad per cercare di disintossicarsi. «Stavo malissimo, stavo per morire», racconta nel suo italiano un po’ stentato, «quando ho deciso di venire a Pescara non avevo più speranze. Invece adesso ho ritrovato me stesso: la comunità non ha troppe regole e ti permette di uscire fuori, lavorare e stare in mezzo alla gente». «Ne ho combinate di tutti colori quando stavo lì fuori», ribatte Matteo, 22 anni appena, abruzzese, «ma non ero una cattiva persona. Nessuno di noi lo è. Avevamo perso di vista il senso della vita, la famiglia e gli affetti. Avevamo perso la testa. Adesso? A fatica la sto ritrovando, ma non sono ancora pronto per affrontare il mondo esterno».
I momenti più duri per chi entra in comunità sono i primi giorni, quando ci si sente ancora un pesce fuor d’acqua e non è ancora iniziata la riabilitazione vera e propria. «All’inizio ero terrorizzato», si lascia andare Davide, «poi inizi a fare amicizia, a confrontarti con gli altri ospiti, vedi che c’è gente pronta ad aiutarti e a sorreggerti nei momenti di sconforto. Ti senti rassicurato e noti la differenza fondamentale con gli altri centri di recupero». «Questa comunità la consiglierei a chiunque ha un problema di droga», dice Marco, «non abbiamo regole rigide e maniacali, ma piuttosto principi di convivenza che tutti rispettano e condividono. Non viviamo isolati dalla città, ma siamo presenti in una struttura laica, senza vincoli e con un numero limitato di persone».
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