PESCARA.

La banca gli chiede 104mila euro ma lui non ci sta: imprenditore vince la causa

L'avvocato Emanuele Argento

13 Gennaio 2025

Ci sono voluti cinque anni, ma alla fine un noto imprenditore di Pescara del settore edile, difeso dall'avvocato Emanuele Argento, è riuscito a spuntarla contro la sua ex banca che pretendeva 104mila euro non dovuti.

PESCARA. Ci sono voluti cinque anni, ma alla fine un noto imprenditore di Pescara del settore edile è riuscito a spuntarla contro la sua ex banca che pretendeva 104mila euro non dovuti.

Ma per arrivare a dimostrare l’insussistenza della richiesta avanzata da una società che rilevò i crediti in sofferenza dell’istituto, per cercare di racimolare quanto più possibile dai malcapitati clienti, sono stati necessari due gradi di giudizio. C’è voluta l’esperienza in materia dell’avvocato Emanuele Argento per avere ragione non solo in primo grado da parte del tribunale di Pescara, ma anche in appello davanti ai giudici della Corte aquilana che hanno definitivamente annullato quel presunto credito di 104mila euro che la banca affermava di volere indietro, stabilendo che il debito del cliente non andava oltre i 7mila euro. Una ingiusta richiesta che ha tenuto sotto scacco per anni l’imprenditore pescarese, creando danni alla sua attività.

La sentenza riguarda una banca regionale poi assorbita da altro istituto più importante. Il giudice pescarese Federico Ria aveva accertato e dichiarato l’illegittima applicazione, da parte della banca, di interessi non dovuti con conseguente determinazione di un recupero di circa 97mila euro per indebiti appostamenti rispetto al saldo passivo indicato dalla banca stessa negli estratti conto. È stato indispensabile provare, con una consulenza tecnica disposta dal giudice, questa illegittima pretesa della banca: un passaggio che si è rivelato molto utile anche nel secondo giudizio in appello emesso con una sentenza del 28 novembre scorso (presidente Nicoletta Orlandi, consigliere relatrice Carla Ciofani, e Andrea Dell’Orso) che ha stabilito la correttezza del giudizio di primo grado.

Il giudice pescarese, e successivamente i giudici aquilani, hanno ribadito un concetto che negli anni, anche se faticosamente, viene ormai recepito dalla maggior parte dei giudicanti. E cioè che in tema di rapporto di conto corrente bancario, in mancanza di espressa e corretta pattuizione degli interessi ultralegali, delle commissioni di massimo scoperto e delle spese, non sono dovuti gli interessi applicati dalla banca. Per cui la Corte d’appello dell’Aquila ha confermato la decisione del tribunale civile di Pescara del 2023, rideterminando il saldo del conto della società, portando i 104mila euro ai soli 7.000 dovuti dal correntista, ritenendo infondati tutti i motivi sollevati dalla parte ricorrente, e condannando la società ricorrente al pagamento delle spese. «Il fatto che i tassi siano stati regolarmente comunicati alla società correntista tramite l’invio degli estratti conto e delle comunicazioni, non contestate», scrive la Corte aquilana in sentenza, «è irrilevante in quanto né gli estratti conto, né le comunicazioni unilaterali inviate dalla banca possono equipararsi a delle pattuizioni e/o a degli aggiornamenti contrattuali regolarmente sottoscritti dalle parti, che vanno quindi a disciplinare in modo legittimo le condizioni economiche applicate ai rapporti bancari ripassati tra le parti».