Quando Marchetti mise le mani sui beni culturali distrutti dal sisma
Dirigente in pensione e con un’importante esperienza in Umbria, arrivò all’Aquila nel maggio 2009 Da 100 chiese per Natale alla teorizzazione della necessità dei puntellamenti. Il caso Anemone
L’AQUILA. La città era ancora sconvolta dal terremoto e dalle sue conseguenze, le abitazioni deserte, gli aquilani nelle tende o nelle strutture ricettive della costa.
Era il maggio del 2009, appena un mese dopo il sisma, quando arrivò per la prima volta all’Aquila Luciano Marchetti, chiamato dall’allora capo della Protezione civile Guido Bertolaso come vicecommissario per i Beni culturali. Lo aveva stabilito l’ordinanza 3761 firmata da Silvio Berlusconi. A Marchetti, in particolare, era affidato «il compito di coadiuvare il commissario nell’esercizio delle funzioni inerenti agli interventi urgenti, volti ad assicurare la messa in sicurezza (puntellamenti) per evitare situazioni di maggiori danni e per eliminare situazioni di pericolo del patrimonio culturale e per il recupero dei beni culturali danneggiati dal sisma, comprese le attività progettuali propedeutiche ai lavori di recupero». Ex dirigente ministeriale in pensione, Marchetti aveva già fatto esperienza nel terremoto in Umbria, di cui era stato soprintendente, dopo aver rivestito lo stesso ruolo nel Lazio. Molte erano le aspettative della città sulla persona del vicecommissario, dall’aspetto rassicurante, con la sua barba bianca, gli occhi sempre attenti, la grande disponibilità al dialogo. Già nel 2010 il presidente Gianni Chiodi, aveva firmato un’ordinanza per nominarlo «soggetto attuatore sui beni culturali dell’Aquila, affidandogli 15 milioni di euro per le prime opere». Un provvedimento che all’epoca fu duramente contestato dalla Uil e bollato come «operazione che presenta lati oscuri». Nonostante tutto l’attività del vicecommissario continuò. A dicembre del 2009 era pronto il progetto «Una chiesa per Natale», che prevedeva la riapertura di 100 diversi luoghi di culto con un finanziamento di 14 milioni, grazie all’accordo sul recupero del patrimonio culturale ed ecclesiastico, firmato a Roma nel luglio, tra il ministero per i Beni culturali, la Conferenza episcopale italiana (Cei) e il dipartimento della Protezione civile. Il programma fu portato a termine nel dicembre di due anni dopo, 2011. In questo lasso di tempo fu possibile tornare a frequentare Santa Maria di Collemaggio e le Anime Sante. Anche in questo caso non mancarono le contestazioni, in primis sulla sicurezza degli edifici riaperti (i battenti di Collemaggio sono stati chiusi la scorsa estate proprio perché la chiesa è stata definita pericolosa) e in secondo luogo per la dislocazione delle chiese, di cui molte non ricadevano nel territorio aquilano. Nel 2012 l’associazione «Bianchi Bandinelli» definì quella di Marchetti una «gestione approssimativa e lontana da qualunque intenzione di vero restauro» e delineò l’immagine di un commissario che «ha agito secondo esigenze propagandistiche nel recupero dei beni culturali con conseguente sperpero di risorse pubbliche». Il 31 marzo 2012, l’addio del vicecommissario alla città, affidando il proprio operato a una relazione sull’attività svolta di una ventina di pagine, zeppe di numeri: messa in sicurezza di oltre 600mila volumi, 334 progetti autorizzati nel Comune tra chiese e palazzi, 119 in altri Comuni e 28 apparati decorativi salvati; e ancora lavori di vario genere, tra cui gli interventi su mura urbiche, Palazzo Ardinghelli, sulla chiesa di San Pietro in Coppito e sul Forte Spagnolo. Intanto si stagliava un’altra ombra sulla vicenda aquilana di Marchetti: l’attività privata dell’ex vicecommissario, libero professionista, impegnato a pieno ritmo nella ricostruzione. Terminato il suo mandato all’Aquila, Marchetti tornò a Roma nominato commissario per gli interventi urgenti nella Domus Aurea. Poi incappò anche nella cosiddetta vicenda Anemone. Il suo nome comparve nella lista del costruttore che metteva a disposizione case a personaggi influenti della capitale.
Michela Corridore
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