TERAMO

Lascia la moglie incinta al gelo: a processo per maltrattamenti 

L’uomo accusato di averla costretta a stare in mutande sul balcone al nono mese di gravidanza. Davanti al giudice la testimonianza di una donna che con il marito l’ha soccorsa in strada

TERAMO. I particolari a fare la differenza in un’altra drammatica storia di maltrattamenti, l’ennesima in questo Paese da Codici rossi e femminicidi senza tregua. Via al processo al quarantenne teramano accusato di aver brutalmente picchiato la moglie al nono mese di gravidanza e di averla chiusa sul balcone di casa (nel mese di gennaio) dopo averla costretta a spogliarsi rimanendo solo con gli slip. A salvarla, dopo qualche tempo, così si legge nella richiesta di rinvio a giudizio il suocero intervenuto per farla rientrare in casa. L’accusa di maltrattamenti è aggravata dalla presenza di minori perché, secondo la Procura (titolare del fascicolo il pm Sivia Scamurra, in aula Pubblica accusa rappresentata dal pm Monica Speca), i fatti sarebbero avvenuti alla presenza del figlio piccolino della coppia.

Davanti al giudice monocratico Marco D’Antoni ieri è stata sentita, nella sua veste di teste, la donna che in un caso ha soccorso la donna in strada dopo che questa era scesa dalla vettura del marito per, secondo l’accusa, sfuggire a un altro maltrattamento e un assistente sociale. A fare la cronaca di un incubo proprio la richiesta di rinvio a giudizio in cui il pm scrive: «All’ultimo mese di gravidanza e tre giorni prima che partorisse, spintonava la moglie contro un armadietto facendole sbattere la testa; poi a seguito di un banale litigio la chiudeva fuori dal balcone non prima di averla costretta a togliersi i pantaloni e quindi a rimanere sul balcone esposta al pubblico con i soli slip; rientrata grazie all’intervento del suocero la picchiava brutalmente colpendola a calci con le scarpe antinfortunistiche che le procuravano ferite sanguinanti e livide sferrandole violenti pugni sulla schiena». Botte e pugni che, ricostruisce l’accusa, in quella casa erano all’ordine del giorno. E non solo.

In un caso, sempre secondo la Procura, la donna per sfuggire ai maltrattamenti dopo essere stata colpita in testa con il tubo dell’aspirapolvere si era rifugiata nell’abitazione dei suoceri e qui l’uomo l’aveva raggiunta «costringendola», si legge a questo proposito nell’avviso di conclusione delle indagini, «ad inginocchiarsi davanti a tutti per chiedergli scusa». Nell’atto l’autorità giudiziaria fa riferimento anche ad un altro episodio in cui la donna, dopo aver abbandonato la macchina del marito per sfuggire all’ennesimo maltrattamento, sarebbe stata avvicinata dalla vettura guidata dall’uomo che l’avrebbe stretta «pericolosamente al margine della carreggiata della strada rischiando di farla cadere nella scarpata». L’uomo è difeso dagli avvocati Caterina Lettieri e Maristella Urbini. La donna si è costituita parte civile rappresentata dall’avvocato Gianni Falconi. (d.p.)
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