Aspettava la pensione, la scuola gli dà un posto fisso a 66 anni 

LUCO DEI MARSI. Ci scherza su, ma solo un po’: «Vi ringrazio per l’attenzione, a nome di tutti i precari del mondo». Giuseppe Grossi ce l’ha fatta e l’agognato posto fisso l’ha ottenuto a Castel di...

LUCO DEI MARSI. Ci scherza su, ma solo un po’: «Vi ringrazio per l’attenzione, a nome di tutti i precari del mondo». Giuseppe Grossi ce l’ha fatta e l’agognato posto fisso l’ha ottenuto a Castel di Sangro, 270 chilometri da Luco dei Marsi, tra andata e ritorno. È entrato di ruolo, come altri 52mila insegnanti italiani che dall’estate hanno avuto la cattedra. Dall’alto della sua età e della sua esperienza, il professor Grossi sorride amaro: ha 66 anni suonati ed è un autentico luminare nel campo dell’archeologia abruzzese, con un curriculum da fare impallidire qualsiasi docente universitario. Direttore dell’Archeoclub Marsica, autore di decine di pubblicazioni, già responsabile del museo di Collelongo, collaboratore con gli atenei di Pisa e L’Aquila, il professor Grossi doveva andarsene in pensione e invece il 25 agosto ha ricevuto la chiamata attesa da una vita.
Insegna storia dell’arte al Liceo Patini di Castel di Sangro. Come da legge, dovrà fare un anno di prova, affiancato da un tutor. Quasi un affronto per uno come lui. «Ma che volete farci, questa è l’Italia», racconta Grossi, «il mio anno è di prova, anche se dal primo settembre del 2018 dovrò andare obbligatoriamente in pensione. Ho preso servizio da qualche giorno a Castel di Sangro».
Il professore marsicano ha iniziato la sua carriera scolastica, tra una scoperta e un libro da scrivere, all’età di 27 anni. Dopo dieci anni trascorsi tra gli alunni delle scuole medie, è andato a insegnare storia dell’arte nell’istituto Sacro Cuore, una scuola parificata di Avezzano gestita dalle suore. Aveva un contratto part-time per continuare a fare l’archeologo. Negli ultimi dieci anni, poi, ha fatto il precario nelle scuole statali, da Castel di Sangro a Carsoli, a Sulmona e ad Avezzano.
«Dovevo andare in pensione dal primo novembre di quest’anno e mi ero rassegnato ad andarci da precario», aggiunge Grossi, «ma il 25 agosto mi hanno chiamato per entrare di ruolo a Castel di Sangro. Mi trovo benissimo al Patini, una delle migliori scuole in cui abbia insegnato, ci sono ottimi rapporti umani e professionali. Ho compiuto 66 anni a marzo e non nego di sentirmi in difficoltà a fare le cose che dovrebbe fare un 35enne o un 40enne. E poi con questo anno di prova così anacronistico... La legge prevede che debba affiancarmi un tutor, mi adeguo alla legge».
“Papà fai un altro anno di sacrifici, dai che alla fine lo Stato si è ricordato di te”, le parole dei figli Ester Grossi, affermata pittrice, ed Eros Grossi, vicepreside in una scuola di Ciampino. «Ho fatto anche il volontariato nelle scuole, con il Centro servizi culturali», riprende Grossi, «e la scuola è ormai volontariato. Se di fronte a me ci fosse il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli? Le direi che uno dei problemi dell’Italia all’interno dell’Europa è la meritocrazia: si dovrebbe dimostrare il valore di un uomo da quello che fa e non da quello che dichiara. E poi gli insegnanti sono sottopagati. Pensate, ad esempio, che non ci rimborsano nemmeno un panino e tutte le trasferte sono a nostro rischio. Non vi dico che cosa capita quando c’è maltempo tra le montagne delle Cinquemiglia. Qualche anno fa ho avuto un brutto incidente proprio mentre andavo a scuola e ho rischiato di annegare in un canale del Fucino, un’esperienza terribile. Cos’altro? Mancano gli strumenti tecnici, gli edifici sono fatiscenti, non ci sono attrezzature didattiche adeguate per quanti come noi vivono in un mondo digitale. I telefonini in classe potrebbero offrire un input alla ricerca se utilizzati correttamente, così come avviene nei Paesi anglosassoni, sebbene ritengo che leggere un libro o un quotidiano sia ancora importante. La buona scuola non dovrebbe essere quella dove si entra a insegnare alla mia età, si dovrebbe cominciare subito dopo la laurea. L’insegnamento non è un mestiere, ma una missione. Lo so che è deprimente raccontare la mia storia, ma a me viene anche da sorridere. I miei colleghi mi dicono che con la mia esperienza e con le mie capacità, se fossi stato in Inghilterra o in Germania, avrei insegnato in un’università. Siamo in Italia e faccio 270 chilometri al giorno».
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