I parenti della donna: per noi non finisce qui

Nel piazzale del discount tra il dolore dei familiari e lo smarrimento dei curiosi La testimone dell’auto accanto: sentito il botto mi sono abbassata d’istinto

L’AQUILA. Un tulipano rosso di plastica appeso al cancello sulla statale. Da questa soglia, che non gli fanno superare, il ragazzo coi capelli lunghi che lo incastra alla meglio può solo immaginare il volto sfigurato di Hrjeta, il fiore spezzato. Gracchiano gli altoparlanti del supermercato. Continuano a gracchiare senza sosta. Fino all’ora di chiusura. Musica e notizie dalla radio che non smette di suonare. Nel piazzale illuminato dalle fotoelettriche ci sono due corpi senza vita, uno a terra e l’altro in macchina. C’è anche questa, di notizia. Quella della vita che finisce tra un pacco di merendine e un chilo di zucchero che diventano fiele. Hrjeta è ancora dentro la macchina grigia che ha il finestrino lato passeggero fracassato. Cinque metri più in là, sotto al grande cartellone delle offerte speciali, giace Shpetim. Un carabiniere solleva per un attimo il lenzuolo azzurro. E scatta alcune foto.

«NON FINISCE QUI». Al cancello, ora, arrivano i familiari delle vittime. Ci sono anche i fratelli della donna. «Che è successo?», chiede un uomo stravolto dalla fatica e dal dolore. Quando gli viene detto di quegli spari, subito chiede di conoscere la verità. «Sono morti?». Un investigatore risponde: «Sì, ma lui l’abbiamo preso, è tutto finito, adesso». «Finito? Per noi non è finito niente». Neppure il fratello può avvicinarsi alla macchina grigia. «Andate a casa, andate dai bambini. In questo momento dovete stare vicino ai bambini. Qui non c’è niente da fare», prova a spiegare l’agente in borghese. «Poi vediamo, poi vediamo», si allontana l’uomo cui toccherà raccontare ai nipoti quello che è successo a mamma mentre faceva la spesa.

«DUE COLPI FORTI». Comincia a nevicare su quel corpo inanimato rimasto a terra. Nel piazzale sferzato dalla bufera passa il commesso del negozio di abbigliamento vicino al discount. Ha chiuso il negozio e prova ad andar via in macchina. «Ho sentito due colpi molto forti. Mi sembravano, all’inizio, i botti di Capodanno. Ho pensato che fosse qualche residuo delle feste. Mai avrei pensato a un duplice omicidio. Appena sentito i botti sono uscito fuori dal negozio e subito mi sono accorto che era successo qualcosa di grave. Siccome ho frequentato un corso da infermiere, quando mi hanno detto che c’era una donna ferita sono corso alla macchina con l’intenzione di dare una mano. Ma quando mi sono avvicinato ho capito subito che quella donna era morta e a quel punto ho desistito dall’intervenire. Poi sono entrato per fare coraggio alla madre che quando è successo il fatto era vicino alle casse. Questa donna parla soltanto in albanese ed è stato impossibile per chiunque comprendere cosa dicesse. L’unica cosa che abbiamo capito è che cercava insistentemente il telefonino della figlia, lo ha ripetuto tante volte. Poi abbiamo capito che c’erano di mezzo quattro figli rimasti a casa. Forse è per questo motivo che cercava il telefonino».

IL MACELLAIO. Il ragazzo del turno di mattina, avvisato al telefono, si precipita per vedere se i colleghi stanno bene. «L’ho scampata bella», racconta agli amici davanti al cancello chiuso con catena e lucchetto. «Ho fatto la mattina e per puro caso non mi sono trovato qui. Avevo un impegno. Certo, che brutta storia». Raccontano che il macellaio, sentiti i colpi, è scappato verso il retro del negozio. Chi lavora coi coltelli in mano e sente gli spari di una pistola rischia di farsi male seriamente. I colpi, però, non provengono dal retro. Tutto avviene davanti all’ingresso principale.

LA VICINA DI MACCHINA. Tra gli scampati all’esecuzione c’è anche un’aquilana. Una testimone parla con voce affannata. Ha negli occhi ancora quella scena. E nelle orecchie il rumore degli spari. La donna, appena ha il tempo di capire cosa le accade intorno, chiama a casa: «Corri al supermercato, una sparatoria, ci stanno due morti. Non mi posso muovere da qua perché mi hanno sequestrato la macchina e non mi fanno uscire. Deve venire il magistrato. Almeno vieniti a prendere la spesa». Di lì a pochi minuti arriva un familiare. «Come stai? Che è successo?» e si mette a raccontare com’è andata. È la donna che parcheggia la sua auto proprio accanto a quella grigia. Ora transennata e inavvicinabile. Lei, per caso finita a tiro dei proiettili, forse ancora non realizza. Sentito il botto, d’istinto si abbassa dentro la macchina. Poi scende e vede coi suoi occhi i due corpi straziati. Se ne va portando due grosse sporte che superano a fatica il cancello posteriore. «A casa, ci vediamo a casa, intanto riporta la spesa», dice al parente prima di tornare a passare un’altra volta davanti a quei corpi.

IL CUSTODE DEL CIMITERO. Tra i tanti che si affollano al cancello spunta anche il custode del cimiteromonumentale, frate Nello Grego. «Mi trovavo qui per caso», racconta. «Stavo all’officina quando ho visto tutto questo movimento e mi sono avvicinato per cercare di capire. Provo grande commozione per tutte le persone coinvolte in questa drammatica vicenda».

NIENTE PANE. Gli addetti del discount tirano via i cartoni e spingono i carrelli tra magazzino e negozio. Uno apre e chiude il cancello dove ormai non rimane più nessuno. «Erano brave persone», sussurra un uomo sulla quarantina. «Conosco il fratello di lei, abita a Paganica. Lavora nell’edilizia. Ci ho parlato più volte. Spero che non si dica: i soliti albanesi. È brava gente, lavoratori». Qualcuno si meraviglia di trovare il cancello chiuso a quest’ora. «Che? Una sparatoria? Quindi se ne va per le lunghe». Stasera niente spesa. «Sa, volevo comprare il pane». La radio suona ancora a manetta. No, nessuno pensa a spegnerla.

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