Venti profughi in cerca di futuro
Civita d’Antino, sono sbarcati dai gommoni in Sicilia Arrivano da Africa e Asia: vogliamo integrarci e lavorare
CIVITA D’ANTINO. Hanno voglia di lavorare, trovano l’Italia un paese bellissimo, parlano più di una lingua e sono cattolici. Sono 15 ragazzi “normali” e, a parte il colore della pelle, hanno ben poco di diverso da un qualsiasi loro coetaneo. In comune hanno la voglia di restare in Italia, cui chiedono asilo politico. Sono arrivati ieri mattina a Civita D’Antino, i primi quindici profughi che saranno ospitati nella Country House Le Rosce di Antonina Piperni e Eliseo Fracassi. Sono tutti giovani, tra i venti e trent’anni. Il più piccolo d’età ha 17 anni, il più grande, 34. Vengono quasi tutti dall’Africa: dal Ghana e dalla Nigeria. Due dal Bangladesh. Altri cinque arriveranno tra qualche giorno. Ad attenderli ieri mattina a Civita c’erano i carabinieri della stazione di Morino e la comandante della polizia locale, Grazia Alfano. Ognuno di loro è arrivato nel piccolo centro immerso nel verde della Valle Roveto, solo con una “matricola”. Sono stati i militari, coordinati dal capitano della compagnia Edoardo Commandè, a occuparsi del riconoscimento.
Alfano è laureata in lingue, parla bene l’inglese e ha fatto da interprete per tutto il tempo. Quindici giovani un po’ disorientati e con lo sguardo malinconico. «Siamo arrivati in Sicilia una decina di giorni fa», dice uno di loro in un perfetto inglese, «su dei gommoni». Alle spalle ognuno di loro ha una storia. Quasi tutti hanno studiato, alcuni sanno lavorare nell’edilizia, altri vorrebbero imparare un mestiere. Tra gli altri si fa avanti Davis Okeke, viene dalla Nigeria. È un grafico e sa lavorare nel campo della comunicazione. «Lavoravo in un locale», dice senza esitare, «nel mio paese mi occupavo di pubbliche relazioni, so come lavorano i giornalisti e come raccontano le cose». Sorride e non nasconde che è quello che gli piacerebbe continuare a fare anche in Italia. Alcuni hanno i piedi feriti, altri chiedono di poter dormire qualche ora. Prima di ogni altra cosa, però, vorrebbero mettersi in contatto con i genitori, per dire che «ce l’hanno fatta». Qualcuno nella terra d’origine ha lasciato solo un fratello, altri i genitori ma qualcuno anche moglie e figli. Non dicono da cosa fuggono, non parlano di guerra, né di politica. In Italia vorrebbero lavorare. «L’arrivo di immigrati a Civita» commenta il sindaco Sara Cicchinelli, «è controllato dalla prefettura, che risponde delle direttive del governo. Alcuni privati del territorio hanno risposto a un bando elaborato d’urgenza e sono risultati idonei per accoglierli». «La situazione è sotto controllo», continua, «qualcuno in paese ha espresso il proprio dissenso e lo ha fatto in Comune ma siamo fiduciosi nella collaborazioni di tutti. In tanti altri paesi d’Italia hanno trovato ospitalità e si sono integrati perfettamente. Hanno ricevuto solidarietà e si sono impegnati nel volontariato». «Ho vissuto all’estero», dice la Piperni, «so cosa significa in un Paese che non si conosce. Da madre sono felice di poter dare un mano a queste persone in difficoltà». Chiunque voglia aiutare profughi arrivati a Civita può rivolgersi alla polizia locale.
Magda Tirabassi
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